Il 5 aprile del 1779 nacque a Varese Luigi Grossi, medico, educatore e inventore che trovò il tempo, nello svolgimento di tante attività, di tener viva la memoria della città, riprendendo la Cronaca di Giovanni Antonio Adamollo dal 1747 fino a quando glielo permise la salute.
Morto il padre Francesco, di antica famiglia varesina, che fu chirurgo maggiore dell’ospedale del Regondello (via Donizetti) per 43 anni e medico presso la corte di Francesco III d’Este, Luigi ne prese il posto nello stesso ospedale civico in cui, dal 1803 al 1825, si distinse in particolare come ostetrico. Al lavoro ospedaliero, svolto con una competenza e una dedizione apprezzate dai pazienti, Luigi Grossi affiancò l’impegno in attività culturali socialmente utili.
A trent’anni, nel 1809, si dedicò all’educazione dei giovani pubblicando un testo di aritmetica per le scuole primarie e secondarie; l’anno successivo diede alle stampe l’operetta “Tacheografia”, un “metodo di scrivere con speditezza e celerità, adattato alla lingua italiana, a segno di seguire colla penna la parola di un oratore”, il primo metodo di stenografia proposto in Italia, mediante l’adattamento delle norme stenografiche pensate nel 1786 dall’inglese Samuel Taylor.
Nel 1826, dopo un viaggio alle fonti di San Bernardino, pubblicò i risultati delle analisi chimiche delle acque e le indicazioni sulla loro efficacia terapeutica. E siccome s’interessava non solo di acque curative ma anche del modo di conservare i liquidi, nello stesso anno presentò all’esposizione di Brera, ricevendone un premio, una macchina per turare le bottiglie da lui inventata due anni prima. L’attrezzo ebbe uno smercio considerevole anche perché il Grossi non accampò diritti sulla sua invenzione.
Il medico inventore si rese utile alla comunità anche come assessore, carica a cui fu nominato nel 1827 e che onorò occupandosi, con utili riforme, di annona, polizia stradale e salute pubblica. Otto anni dopo, Luigi Grossi, pur riconfermato a pieni voti dal Consiglio comunale, che avrebbe voluto “promuoverlo” podestà, si ritirò dall’Amministrazione per un veto della Polizia che, sulla base di denunce anonime orchestrate da un “infame varesino” (sono parole sue) lo sospettava di liberalismo.
Del resto d’ispirazione liberale e patriottica era la Società del Casino, che il “dottor fisico” fondò, nel 1811, con Giovanni Pellegrini Robbioni, che nel 1816 sarà il primo podestà di Varese elevata al rango di città, e con il giudice Carlo Sala. Mosso dalla curiosità per le scoperte scientifiche provenienti dall’estero, nel 1842, leggendo sui giornali francesi sommarie informazioni sulla scoperta di Daguerre, si fabbricò un dagherrotipo con il quale ottenne pregevoli vedute di paesaggi e poi, con un apparecchio perfezionato, ottimi ritratti in pochi secondi.
Nel 1826 l’eclettico dottor Grossi aveva voluto progettare personalmente la sua casa, avvalendosi dell’opera dell’architetto Gaetano Besia, docente all’Accademia di Brera, solo per il disegno della facciata in ordine dorico che ancora oggi possiamo vedere all’angolo tra via Veratti e via Indipendenza, nel complesso dell’Istituto Salesiano. Nella notte tra il 13 e il 14 novembre del 1846, dopo sette mesi di penosa malattia, il dottor Grossì morì, “compianto da’ suoi concittadini e principalmente dai poveri – si legge in una nota alla Cronaca di Varese – che tuttora lo nominano con affetto e riconoscenza”. Al “dottor fisico” e genio enciclopedico come Vincenzo Dandolo, che ne aveva sposato la sorella Marianna, la sua Varese ha intitolato una traversa minore di viale Luigi Borri.