Nicola Mumoli, approdato all’Asst Valle Olona nell’estate 2024 come direttore della Struttura complessa di Medicina interna a indirizzo cardiologico, da inizio marzo è alla guida del Dipartimento Area Cardiovascolare. Tre specializzazioni (medicina interna, cardiologia, medicina subacquea e iperbarica), numerose pubblicazioni di caratura internazionale, responsabile ecografia di Fadoi - Federazione Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti, il dottor Mumoli ha alle spalle, fra l’altro, un passato nella Marina Militare ed esperienze in Sardegna, Toscana, Valtellina e nell’Asst Ovest Milanese.
«Il periodo più intenso della mia vita professionale – puntualizza – l’ho passato non lontano da qui, all’ospedale di Magenta». Sette gli anni trascorsi al Fornaroli, un arco di tempo durante il quale il Covid ha sconvolto le vite di tutti, impegnando come mai prima gli operatori sanitari. E il dottor Mumoli è diventato un volto noto al grande pubblico, grazie a numerose presenze sulle principali tv nazionali. «Non è che fossi in cerca di visibilità – altra precisazione, sorriso sulle labbra – anche allora, anzi, soprattutto allora il primo pensiero era darsi da fare, lavorare, non certo apparire».
Sul suo impegno in Asst Valle Olona: «Per capire la direzione in cui si va, e semplificando, si può ragionare sulla denominazione della struttura complessa: Medicina interna a indirizzo cardiovascolare. Da un lato abbiamo la figura classica dell’internista, il medico della complessità che ha una visione olistica, appunto complessiva del paziente. Dall’altra, l’indirizzo cardiovascolare aggiunge una specificità. Evidentemente non si tratta di creare doppioni o sovrapposizioni rispetto alla Cardiologia ma di implementare la risposta a situazioni complesse, che superano certi confini. Come quelle dei pazienti fragili con comorbilità, colpiti da più patologie. Una condizione da sempre presente e via via più diffusa, anche per l’invecchiamento della popolazione. Pensiamo, ad esempio, a una persona con scompenso cardiaco, colpita da infezione e affetta da demenza».
Punti che stanno particolarmente a cuore: «In generale occorre lavorare sul passaggio dalle acuzie alle fasi successive e alla cronicità. I modelli organizzativi “fast track” prevedono una collaborazione costante con i medici di medicina generale, un’interazione sistematica con il territorio, e possono incidere sui numeri dei ricoveri a ripetizione e degli accessi multipli, anche impropri, al Pronto soccorso. Fenomeni che, si sa, comportano impegni gravosi. Ancora, penso all’implementazione delle ecografie bed-side. La tecnologia, oggi, consente di effettuarle, le ecografie, al letto del paziente. Ovviamente può esserci un risparmio significativo in termini di risorse, impiego del personale e disagio vissuto da persone che per le più varie ragioni soffrono gli spostamenti. Tanto più in un ospedale come quello di Busto, le cui strutture sono datate».
Tema per forza di cose “caldo” e destinato a rimanere tale fino all’attivazione del “Grande ospedale della Malpensa”. «Diciamoci la verità – riflette Mumoli - la fama dell'Asst e dell'ospedale di Busto, da cui i medici si terrebbero alla larga o fuggirebbero, è immeritata. Un po’ lo dimostra anche il mio arrivo. Qui ho trovato professionalità di alto livello, spirito di collaborazione, una dirigenza sollecita. Che non smette di investire, la stessa realtà che sono chiamato a guidare riceve attenzione, se ne vedranno i frutti. Certo, non si può dire che le strutture esercitino una grande attrattiva o che l'organizzazione in padiglioni sia ideale. Con un monoblocco alcune dinamiche si facilitano enormemente, oggi se ti devi muovere da certi punti a certi altri dell’area ospedaliera devi affrontare dei piccoli viaggi. La sfida di oggi e dei prossimi anni è attrarre giovani medici prima che sia operativo l’ospedale nuovo, averli qui, pronti e motivati, in vista di quella partenza. Mi piacerebbe dare il mio contributo nel farli arrivare, vedere emergere nuove personalità. Come quelle, sempre attive a Busto, che conoscevo io».
Non in virtù di una collaborazione “gomito a gomito” ma, appunto, per reputazione e caratura note ben oltre il territorio. «La prima volta che ho avuto a che fare con l’ospedale in cui oggi lavoro - esemplifica Mumoli- ero in uno dei miei periodi isolani, all'Elba. Fine anni Novanta. A distanza di tanto tempo si può dire: per un paziente illustre, Giorgio Faletti, con una situazione complessa, coinvolsi il professor Luigi Solbiati, della Radiologia di Busto. Ecco, i punti di riferimento erano di questo tipo, li andavi proprio a cercare, anche da lontano. I medici di quelle generazioni stanno lasciando, per evidenti ragioni anagrafiche. Chi subentra dovrebbe poter arrivare a quei livelli. Ormai è chiaro: sono un nomade, mi definisco così. Ma a Busto voglio restare, seminare e partecipare al passaggio che porta al nuovo ospedale, accogliendo i medici che là faranno un grande lavoro».