Alzando gli occhi al cielo, Gianni Chiapparo acchiappa da lassù le parole che soltanto lui poteva trovare in questo momento, dove tra le nuvole che scorrono veloci sopra la chiesa di Gazzada Schianno sembra di intravedere il sorriso tenero di Sandro Galleani, salutato oggi dalla Pallacanestro Varese e dal basket italiano nel giorno dell'ultimo saluto (leggi QUI). «È un uomo da mettere nel giardino dei giusti. Non solo professionalità, ma immensa umanità - dice Chiapparo - c'era sempre: non era solo il fisioterapista, ma l'amico, lo psicologo, il compagno. Lo ricorderò sempre da vivo: Sandro non è al passato, Sandro è con noi. Cosa avrebbe detto oggi vedendoci tutti qui per lui? Ci avrebbe consolato: "Ehi, Nini, pazienza. Ti stanno mettendo alla prova". Era preoccupatissimo di andare via prima di Egidia: ora le sussurrerebbe che ha due figli splendidi e che deve continuare per loro e per i nipoti».
Potremmo finire qui l'articolo, ma non possiamo dimenticare la squadra più forte di tutti i tempi radunatasi qui oggi solo per lui, il compagno-papà-fratello-amico più bravo di tutti. «Una persona d’altri tempi - dice con un filo di voce e con le lacrime che non smettono di scendere Cecco Vescovi - Un secondo papà, un fratello più grande. Aveva sempre una parola di conforto. Era diretto e sincero. Ha speso la sua vita per gli altri e per farli stare bene. Ci mancherai, Sandrino».
«È diventato un gigante in punta di piedi: catalizzava i problemi e li risolveva. Una delle persone più belle che abbia mai conosciuto» dice Dino Meneghin, circondato da campioni arrivati per rendere omaggio al loro piccolo, grande segreto, e cioè Galleani.
Bastano poche parole per racchiudere una leggenda? Sì, se le parole sono queste: «Mi ha aiutato in spogliatoio e fuori campo» (Isaac), «Un fratello maggiore che mi ha accompagnato nella vita. Unico e irripetibile» (Arrigoni), «A un ragazzo si può solo augurare di conoscere un maestro come lui» (Frates), «Non era il massaggiatore, ma un confessore» (Marzorati), «Aveva sempre la parola giusta per tutti» (Paolo e Andrea Conti).
La fotografia in cui rimarrà per sempre impresso Sandrino? «In mezzo ai giocatori perché lui era "il" primo dei giocatori» il clic finale del fotografo Carlo Meazza.
Sono i piccoli, grandi momenti di vita quotidiana ad aver fatto la differenza tra un grande uomo e una leggenda. Momenti come questo: «Si saliva in pullman dopo aver vinto una bella partita con la nazionale e lui cantava "Siamo la squadra più bella del mondo" sulle note di Celentano e del suo "Siamo la coppia più bella del mondo» (Denis Marconato).
E come questi: «Era il simbolo di come vivere bene grazie allo sport. "Giocava" a tutto campo, non solo sul parquet» (Stefano Malerba). «Trovava il lato positivo in ogni situazione» (Fabio Colombo). «Un'icona per il nostro club» (Matteo Librizzi). O come quelli di Dodo Rusconi («Squisito»), Aldo Ossola («Simbolo di un'umanità che faceva la differenza»), Cristiano Zanus Fortes («Credeva nelle persone. Ha creduto in me più di quanto io credessi in me stesso»), Umberto Argieri («Sapeva riempire tanti piccoli spazi con tutti»), Massimo Lucarelli («Sapeva sempre tirarti su»), Meo Sacchetti («Mi fasciava le caviglie e capiva tutto, dicendomi "Meo non ci siamo" oppure "Meo ci siamo"»).
A tantissimi è bastata anche anche solo la presenza, intima e discreta, per dire "Ciao, Sandrino", da Toto Bulgheroni (con i figli Edoardo e Tony) ad Alberto Castelli, da Marino Zanatta e Dino Boselli ad Andrea Meneghin, Sandrino De Pol, Marco Passera e Massimo Ferraiuolo per finire con Luis Scola, presente in maglietta nonostante l'aria frizzantina. Vedendolo, Meo Sacchetti gli ha urlato: «Non siamo in Argentina, Luis...». Stai sorridendo, Sandrino, vero?