A Varese si ritorna, o almeno quasi sempre. Non importa se si ha spesso la valigia pronta e un aereo al decollo, oppure si “pendola” per anni avanti e indietro a Milano, la città è una sirena e qui il suo canto, che si “ascolta” per vivere nei fine settimana o arredare un rifugio per il tempo del relax. Oppure per stare tranquilli e organizzare il lavoro con calma e nel silenzio, e sentire aria di casa tra un impegno e l’altro. Così succede ad Alessandra Premoli, nata a Varese, che in città, in pieno centro, ha deciso di abitare, nonostante il suo lavoro di regista teatrale la porti in giro per il mondo.
Alessandra, una laurea in Scienze dei beni teatrali, cinematografici e televisivi ottenuta a Milano e un’altra in Scienze e tecniche del teatro allo IUAV di Venezia, ha sempre coltivato un amore totale per il palcoscenico e galeotta fu la rappresentazione del “Sogno di una notte di mezza estate” al Teatro dell’Elfo di Milano, a cui assistette a 14 anni al posto di sua mamma ammalata.
«Fu una folgorazione, ma già due anni prima avevo deciso cosa avrei fatto da grande, la regia di opere liriche. Era da poco bruciato il Teatro La Fenice di Venezia, nel 1996, ma nonostante ciò si era deciso di rappresentare lo stesso il “Don Giovanni” di Mozart, che vidi alla televisione, e dal quel giorno la mia strada era tracciata. Però mi è capitato di ritrovare un mio scritto di quando avevo 9 anni, con tre desideri per il mio compleanno: avere un palloncino rosso, un arcobaleno per festeggiare, e realizzare uno spettacolo teatrale. Ho sempre desiderato non recitare o cantare, ma costruire lo spettacolo, curarne la messa in scena», racconta Alessandra Premoli, che fuori dal teatro coltiva la passione per i viaggi in Paesi lontani, dalle culture opposte alla nostra.
Una predestinata, tanto che a Venezia, vinto il concorso universitario per realizzare uno spettacolo alla Fenice, “La virtù de’ strali d’Amore”, con libretto di Giovanni Faustini e musica di Francesco Cavalli, diventa poi assistente di Davide Livermore, suo tutor in quella messa in scena, iniziando subito a lavorare in teatro e avverando così il suo sogno.
«Dal 2007 al 2018 gli ho fatto da assistente, e oggi riprendo da sola i suoi spettacoli. La gavetta è importantissima, non credo ai geni, il mio è un lavoro che si impara sul campo, strada facendo. Di Livermore ammiro la sua attenzione al testo musicale, come del resto faceva Jean-Pierre Ponnelle, un regista che amo molto. Alla sua “Cenerentola” rossiniana, infatti, dedicai la mia tesi del triennio. Del resto testo e musica convivono ed è importantissimo averne rispetto».
La carriera di Alessandra viaggia veloce, e dal 2011 arrivano le regie al Teatro Regio di Torino, al “Carlo Felice” di Genova, al Teatro Sociale di Como, poi al Palau de les Arts di Valencia con “Silla” di Händel con la direzione musicale di Fabio Biondi, “La finta amante” di Paisiello al Paisiello Festival, e “Gli amori di Apollo e Dafne” di Cavalli e “Idalma” di Bernardo Pasquini all’Innbrucke Festwochen der Alten Musik. Senza contare le riprese degli spettacoli registici di Livermore, la “Bohème” all’Opera di Philadelphia, “Tosca” e “Manon Lescaut” al “Carlo Felice” di Genova, la “Lakmé” al National Centre of Performing Arts di Beijing, mentre nel 2018 lo affianca nella messa in scena di “Un ballo in maschera” al Bolshoi di Mosca.
«Il 15 marzo riprenderò la regia di Livermore nella “Tosca”, al Teatro alla Scala, inizierò a lavorarci a metà mese. A Milano avevo già ripreso l’“Attila” di Verdi e il “Tamerlano” di Händel con Diego Fasolis, mentre all’Opera di Roma ho curato il “Barbiere di Siviglia”. Alla Scala mi trovo molto bene, ha un’organizzazione piramidale, funziona tutto come in una grande macchina e mi sento protetta, i reparti sono comunicanti, si va in fiducia contando sulla professionalità degli artisti», spiega Premoli, che insegna regia all’Accademia di Belle Arti di Napoli e al Naba di Milano, e ha vinto il concorso per la docenza di Arti sceniche al Conservatorio di Modena.
«Dopo “Tosca”, interpretata da Chiara Isotton, con Luca Salsi nel ruolo di Scarpia e Francesco Meli in quello di Cavaradossi, sarò impegnata all’Accademia di Belle arti di Urbino nella regia di un lavoro teatrale di Italo Calvino, “La panchina”, del 1956, con musiche di Sergio Liberovici. Un uomo insonne siede su una panchina nel parco ma viene disturbato da ubriachi e operai, e al mattino lo strillone dei giornali fa sapere che a Vancouver i potenti della Terra hanno deciso che non si dormirà più, per non togliere tempo alla produzione. Un testo quantomai attuale. Dopo Urbino, in estate, sarò al 50° Cantiere di Montepulciano, diretto da Carlo Goldstein, dove nella piazza principale metterò in scena “Cavalleria rusticana” coinvolgendo giovani cantanti e la comunità del luogo. Non rifarò la Sicilia dell’800 di Verga, ma porrò l’accento sui temi caldi della violenza, in una società che sa ma non vuole vedere. L’importante per me è sempre il pensare per chi stiamo mettendo in scena un’opera, a chi ci rivolgiamo, desidero un rapporto paritario con il pubblico. La gente si è allontanata dal teatro perché molti registi fanno calare il loro lavoro dall’alto, con messe in scena per pochi eletti che comprendono il verbo. Oltre a Ponnelle, ammiro molto i registi cinematografici. Mi ha colpito il lavoro di Joe Wright che ha curato la miniserie televisiva “M – Il figlio del secolo”, tratta dai libri di Scurati, evidenziando la violenza degli squadristi simile quasi a quella degli ultras degli stadi, rendendola riconoscibile pur mantenendo il contesto storico».
E Varese? Alessandra Premoli è critica sulla vita culturale della città e sul suo perenne sonnecchiare.
«Non ho mai lavorato qui, anche perché non c’è una compagnia di base né un polo produttivo per la prosa o la lirica. Mancano eventi culturali di spessore, mostre d’arte significative, i due riferimenti principali, Villa Panza e la Fondazione Morandini sono privati. A Varese non c’è mai uno slancio o la volontà di osare. Ci sono città simili, come Novara o Lugano che si sono trasformate in poli artistici, richiamando pubblico anche da molto lontano. Da noi resiste soltanto la Stagione musicale comunale, realizzata da Fabio Sartorelli, con concerti di alta qualità. Manca una sala da concerto con una acustica adeguata e anche la comunicazione è parziale, sarebbe necessario un portale che riunisse tutte le attività culturali che molte associazioni locali tentano con fatica di portare avanti. Chissà se poi il nuovo teatro si farà, in caso positivo dovrebbe accogliere una biblioteca con la storia dei teatri varesini e i documenti rimasti».
Alessandra non ha un’opera preferita di cui vorrebbe curare la regia, «mi piace che le cose arrivino da sole», ma è molto affezionata alla “Turandot” pucciniana realizzata a Palma di Maiorca, nell’ottobre dello scorso anno. «Nel finale ho visto il pubblico commosso, mentre in platea e sul palco cadevano foglietti con l’ultima pagina della partitura scritta da Puccini e il coro, con i cantanti vestiti di bianco, lo sentiva come un momento di liberazione dopo il dramma vissuto. È stata una grande soddisfazione».