Nessuno aveva gli occhi asciutti quando, poco prima di mezzogiorno, il feretro della piccola Matilde D’Alto (vedi QUI), peluche e un cuscino a forma di cuore sulla bara bianca, è uscito dalla chiesa di San Michele a Busto. Il cielo limpido come gli occhi di Matilde e un sole finalmente tiepido non hanno sciolto il silenzio del funerale. Sussurri alle orecchie dei genitori, pacche sulle spalle tra amici e parenti, gesti semplici e forti per cercare di spezzare la tensione, per ritrovarsi, per compensare con un contatto le parole che non potevano venire fuori.
«Faremmo anche a meno delle parole» aveva ammesso don Fabio, nell’omelia. Riferendosi al Vangelo di Marco letto durante la cerimonia e alla domanda lacerante di Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? È il dolore, nostro e del mondo, che sconvolge e toglie un orizzonte, è il dolore per la sofferenza che colpisce l’innocente. Allo stesso tempo il Vangelo ci parla di quella pietra rotolata via dal sepolcro. Che è luce nel buio, luce piccola ma capace di squarciare la tenebra. Il nostro grido non resta inascoltato, la resurrezione è luce che viene donata anche a noi».
Resta l’esempio di Matilde. L’attaccamento semplice e tenace alla vita che è dei bambini, e che nessuna malattia dovrebbe minacciare, rimane indelebile tra i familiari «…in chi ha aiutato e continuerà a farlo. La stessa vita di Matilde continua in modo nuovo. La sofferenza è trasfigurata».
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