Basket - 19 gennaio 2025, 21:51

Eri piccola, piccola, piccola… così

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI - Una squadra che in un colpo solo butta via un match, un doppio confronto e la possibilità di cambiare forse per sempre la propria stagione è una squadra che non ha ben chiara l’importanza di ogni gesto compiuto sul campo. Una squadra passiva, che si accontenta, che non ama se stessa e il proprio lavoro. E non ha, soprattutto, minimamente in testa il concetto di auto-esigenza: una colpa che chiama in causa l’intero staff tecnico-manageriale…

La squadra durante un timeput a Pistoia

La squadra durante un timeput a Pistoia

Inutile cercare la luce dei numeri nella folle serata di Pistoia.

Di solito, sconfitta o vittoria non cambia, si passa sempre dalla cifre nello spiegare il basket. Perché la pallacanestro ne fa dovizia, perché la razionalità di un tabellino è un’ancora a cui ci si può legare saldamente, soprattutto nel post partita, evitando di essere sballottati qui e là dai marosi delle sensazioni e dei sentimenti. 

Oggi no (peraltro, quelli più eclatanti, si possono leggere QUI, nella cronaca).

Oggi le statistiche vengono dopo, perché sono figlie di un qualcosa di più grande: l’immaturità a 360° gradi di Varese e il suo irrimediabile, piccolo, cabotaggio.

Sarebbe pericoloso classificare l’incredibile debacle di Pistoia come un episodio, lasciandolo scorrere nel flusso stagionale senza badarci troppo. No: dalle lezioni si deve imparare, è l’unica speranza che vediamo all’orizzonte questa sera.

Una squadra che in un colpo solo butta via un match, un doppio confronto e la possibilità di cambiare forse per sempre la propria stagione è una squadra che non ha ben chiara l’importanza di ogni gesto compiuto sul campo.  

È una squadra passiva, che vive solo di momenti, piegandosi a essi e lasciando alla loro semplice, ineluttabile, somma la determinazione del destino complessivo. È una squadra che non ha contromisure ai propri difetti, né alle reazioni degli avversari, nemmeno messe in conto peraltro, come se il tutto si risolvesse in un ballo solitario e non in una battaglia da conquistare centimetro dopo centimetro.

È una squadra che a metà stagione non ha ancora capito che bisogna giocare 40 minuti e non 20, che non ha ancora capito che la propria fragilità strutturale deve essere uno stimolo e un monito, ogni maledetta domenica, per aggredire, per non mollare mai, per vivere il qui e ora senza accontentarsi, per vedere il pericolo in ogni sussulto altrui e porvi rimedio. 

È una squadra che non ama se stessa, il proprio lavoro, lo status che le vittorie regalano ma le sconfitte tolgono, come se non ci fosse uno ieri ma solo un oggi.  

È una squadra con un allenatore che non ha ancora trovato il “tocco” per evitare certe catastrofi, ma anzi cade - quasi inerme - insieme a tutti i giocatori. 

È una squadra che non ha minimamente in testa il concetto di auto-esigenza. È questo è grave, e chiama in correità non solo - e decisamente - la panchina, ma anche l’intero staff tecnico-manageriale.

Difficile non pensare che quanto visto al PalaCarrara non sia figlio di un sistema - stavolta inteso non tanto da un punto di vista tecnico, ma più filosofico, comportamentale, ambientale - che ancora ne deve fare di strada per risultare condivisibile a questi lidi. Togliendosi di dosso tutta quella supponenza da “inventori del basket” che non può che portare che a questi risultati.

Quanto sei piccola, cara Varese…

Fabio Gandini


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