È recente la lettera che il circolo bustese di Legambiente ha indirizzato al sindaco, Emanuele Antonelli, sulla questione dei cattivi odori, meglio, del cattivo odore che periodicamente appesta interi rioni di Busto. L'e-mail è stata solo l’ultima iniziativa di una serie iniziata anni fa e volta a individuare l’origine del problema, tuttora sconosciuta. Ieri, 17 dicembre, ecco una nuova aggressione all’olfatto, straordinaria per intensità e vastità delle aree colpite: a metà giornata non si contavano le lamentele, da Beata Giuliana a San Giuseppe, dalla Madonna in Veroncora a Sacconago fino ad alcuni punti di San Michele (vedi QUI). «Prende anche tutta la zona in cui dovrebbe sorgere il nuovo ospedale» ha osservato qualcuno sui social. Interessate, come spesso succede, alcune zone di Gallarate. «Noi siamo stati tempestati di telefonate» afferma Paola Gandini, presidente di Legambiente Busto, che aggiunge: «Credo che si debba costituire un tavolo per affrontare il problema facendo gioco di squadra. E che ci vogliano risorse anche economiche per intraprendere iniziative concrete».
C’è da superare uno stallo, come ricordato dalla stessa responsabile del Cigno Verde nelle ore in cui fioccavano segnalazioni e lamentele. «In passato – riassume - abbiamo depositato un esposto ma purtroppo il fascicolo è stato archiviato. Non è andata meglio in Consiglio comunale, dove il consigliere con la delega all’Ecologia (Orazio Tallarida, era febbraio 2024 Ndr) ha fatto presente quello che è un dato di fatto, cioè che Arpa va dove le si chiede di fare le analisi». Si torna, dunque, al punto di partenza: l’origine del fetore non è stata localizzata, dunque non si sa dove inviare i tecnici.
Che cosa avrebbe, di decisivo, il tavolo che propone Legambiente? «Come noto, nessuno ha la bacchetta magica – osserva la presidente – ma, al tavolo, associazioni ed enti, Comuni in primis, si parlerebbero in modo molto diretto, condividendo informazioni e ipotesi di lavoro. Insieme, potrebbero collaborare, per esempio, con il Politecnico di Milano, magari mettendo a punto un protocollo per intervenire in modo rapido quando la puzza si presenta».
In effetti, il fattore tempo risulta particolarmente problematico. La persistenza del fenomeno è variabile, il cattivo odore si sposta in modo imprevedibile, anche se il confine tra Busto e Gallarate è il punto segnalato più di frequente. Facile che entrino in gioco, di volta in volta, fattori come temperature, correnti d’aria, umidità. Come si può, dunque, dare la caccia alla puzza? «Tempo fa, Arpa addestrava personale di altri enti, in modo che questo potesse effettuare dei rilievi affidabili. Se volontari nostri, della Protezione Civile o di altre realtà del territorio ricevessero quel tipo di formazione – ipotizza Paola Gandini – si potrebbe entrare in azione con una certa rapidità, andando velocemente dove il fenomeno si presenta e senza aspettare l’arrivo, per forza tardivo, di Arpa. L’Agenzia regionale, poi, entrerebbe in gioco per analizzare i risultati della raccolta dati effettuata sul campo».
Ecco, però, che sorge la questione costi: «Ovviamente, dal punto di vista economico la nostra ipotesi di lavoro non è a impatto zero: i corsi di formazione, per esempio, non sono gratuiti. In Comune sono consapevoli che il problema esiste e che coinvolge migliaia di cittadini. A fronte di questo, uno stanziamento per affrontare la questione sarebbe sensato».