Basket - 15 dicembre 2024, 20:41

Meglio una filosofia “sbagliata”, seguita al 110%, che una “giusta” seguita al 60%

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI - Cronaca di una settimana da tregenda, di un incontro inaspettato sui gradoni del Campus, di uno scambio di idee e di una partita in cui Varese è stata completamente se stessa. Ed è per questo che ha vinto. Il prossimo passo? Eliminare gli integralismi, altrimenti questa rondine dal volo bellissimo ancora una volta non farà primavera, proprio come accaduto dopo la Virtus…

Herman Mandole e Marco Legovich fotografati dal nostro Fabio Averna

Herman Mandole e Marco Legovich fotografati dal nostro Fabio Averna

Campus, venerdì scorso, interno giorno.

Un cronista varesino è sugli spalti del campo B, intento a scrivere l’articolo forse più importante di una settimana da tregenda per il basket varesino, iniziata con la vergognosa sconfitta di Cremona, proseguita con gli altrettanto vergognosi striscioni di minaccia vergati da delinquenti (e non da tifosi) e arrivata a uno snodo fondamentale: davanti ai microfoni si è appena presentato il padrone. 

Il tempo scorre e la fretta è come al solito fedele compagna, ci siede a fianco, ci ricorda che dobbiamo “uscire” subito, possibilmente prima degli altri, perché tutta la Varese del basket attende le dichiarazioni che siamo intenti a riportare. 

Siamo lì, assorti nel nostro lavoro, quando il silenzio della palestra completamente vuota viene improvvisamente riempito da passi pesanti, convinti: dall’entrata sbuca l’ultima persona che ti aspetteresti sbucasse.

È Luis Scola. 

Si avvicina, si siede a un metro di distanza da dove siamo, ci chiede se ci sta disturbando. La fretta ci dà uno strattone, reclama la sua presenza, ci ricorda l’articolo, ci rammenta la concorrenza. Per un attimo le diamo retta, ma poi ci giriamo dall’altra parte, tappandole la bocca: «No, Luis. Figurati…».

«Volevo chiederti cosa ne pensi…» dice allora lui, lui che un quarto d’ora prima ha messo la faccia sul momento nero, sui risultati, sulle responsabilità dell’organigramma, sulle minacce, sulle fake news dei social, sul suo progetto fuori dal campo. 

Solo sull’argomento gioco le sue risposte non sono state piene e soddisfacenti, almeno a nostro giudizio. E allora è proprio lì che andiamo, facendoci coraggio e rispondendogli. 

È nata in questo modo una chiacchierata che non riporteremo, perché è giusto che rimanga privata. Se non in un punto, fondamentale: il Generale argentino crede ciecamente nella strada tecnica da lui fatta intraprendere a Pallacanestro Varese da tre anni a questa parte. Lo ha ribadito anche in questa sede.

E non la cambierà. Probabilmente nemmeno davanti ad estreme conseguenze sportive.

Luis crede nel primato dei numeri e della statistiche, secondo lui unici elementi ad avere dignità oggettiva per segnare la via, e in attacco, e in difesa. Crede nella gerarchia dei tiri, e in fase offensiva e in fase difensiva, e così nelle scelte che ne conseguono. Crede quindi in un basket veloce, senza gioco sotto canestro, senza post basso; crede in una difesa senza zona, con pochi adeguamenti, che inviti gli avversari a prendersi tiri che nella gerarchia di cui sopra - dettata dalle statistiche - sono i meno convenienti da prendere. 

Noi, invece, e tutti coloro che amano la Pallacanestro Varese ma stanno fuori da essa, a cosa crediamo? Crediamo che una religione di gioco professata come tale, e dunque presa in modo a-critico, possa fare il male di Varese; crediamo che le squadre non vadano costruite così leggere sotto canestro; crediamo che ogni tanto sia necessario, pur avendo la propria idea, adeguarsi alle trappole degli avversari per cercare di porvi rimedio; crediamo che ci voglia un allenatore in grado di uscire dagli spartiti, se necessario a non perdere; crediamo che il campionato italiano sia difficile e che questa dirigenza, Luis compreso, lo abbiano per due anni di fila sottovalutato, perpetrando errori a cominciare dal mercato.

Non è “abbasso il Moreyball” la sintesi, ma “abbasso le sconfitte frutto degli integralismi”.

E un punto in comune con il “padrone”, lo abbiamo trovato su un altro concetto: meglio una “filosofia” sbagliata, ma seguita dai giocatori al 110%, che una filosofia giusta ma seguita al 60%.

Ecco, veniamo a oggi: oggi Varese è stata se stessa, dal primo all’ultimo minuto. 

Ha corso a perdifiato, anche dopo canestro subito: se primato del “pace”, del ritmo, deve essere, solo così si fa (ci è parso di ritornare ai tempi di Brase, che con l’attacco nascondeva gli altri punti deboli). Ha difeso aggressiva, quasi famelica sugli esterni: e il Moreyball è un suicidio assistito se sprovvisto di aggressività, visto ciò che già concede in termini di fisicità e tattica. Ha cercato - sempre - di anticipare i post basso avversari, e anche qui… vivaddio: sei più piccolo, più leggero, non raddoppi… almeno cerca di ritardare in tutti i modi possibili il servizio interno.

Il prossimo passo sarà interiorizzare - o almeno è ciò che auspichiamo, perché lo consideriamo principio incontestabile - la versatilità di cui scrivevamo sopra, quella necessaria a mettere una pezza quando il sistema non funziona, quella necessaria a non perdere tutti quei match invece persi negli ultimi tre anni a causa degli estremismi e della poca esperienza degli allenatori scelti. 

Ma per oggi ci “accontentiamo” di questa vittoria. Da Varese. La Varese di Luis Scola. 

Pronti a martellare di nuovo, dovesse essere buttata via contro Napoli come quella contro la Virtus Bologna è stata buttata via a Scafati e soprattutto a Cremona. 

Una rondine, nemmeno dopo un volo bellissimo come quello di oggi, non fa primavera.

Fabio Gandini


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