C'è un sottile filo rosso che unisce Monghidoro, il paese di Gianni Morandi, e Varese. A tesserlo, con la maestria fatta di amore per la buona tavola e spirito di ospitalità, è Cesare Lorenzini, titolare del ristorante Bologna, locale nel cuore del centro della Città Giardino.
Una storia, quella di questo angolo di Emilia nel Varesotto che ha visto passare tra i suoi tavoli storie e volti degli ultimi 70 anni, iniziata il 2 giugno del 1952, quando nonno Giuseppe e nonna Ersilia, spinti dal desiderio di cambiare vita e dai tempi duri, arrivarono a Varese per aprire una trattoria che portasse in città i sapori genuini di una terra sincera. Dovevano rimanerci quattro anni, ma la storia racconta che non andò così.
«Varese ci accolse a braccia aperte - ci racconta Cesare da dietro il bancone - a questa città dobbiamo tutto. Da allora il tempo è passato, ma in questo locale sono rimasti il cuore e l'accoglienza degli inizi, quelli dei miei nonni e dei miei genitori Adelmo e Fernanda. E per il futuro spero che mio figlio Andrea ne raccolga il testimone».
Una storia di famiglia, dunque. Ed è proprio il senso di famiglia, di amicizia, che si respira tra i tavoli: entrare al Bologna è come fare un salto nel tempo e nello spazio: ci si ritrova tra mille cimeli, arredi caldi e sapori genuini. «Della mia terra qui metto anima e senso di ospitalità - continua Cesare - E naturalmente i piatti tipici, come i ricchi antipasti con i salumi emiliani e i primi piatti».
Piatti che da generazione fanno gola ai varesini e ultimamente sempre di più anche da chi in città arriva da fuori: «Noto che Varese ha vissuto negli ultimi anni una forte crescita di presenza di visitatori stranieri, in particolare in occasione dei grandi eventi sportivi, soprattutto il ciclismo, mia grande passione - spiega Cesare - Penso che sia una grande opportunità, che va cavalcata fino in fondo: credo molto in questa città, ha un potenziale incredibile. E dato che sono ottimista spero che ci credano tutti, perché a chi arriva da fuori Varese piace. I turisti stranieri ci hanno fatto fare il salto di qualità: loro apprezzano la genuinità di un posto come il Bologna, amano il concetto di "trattoria", si lasciano consigliare alla scoperta di piatti e prodotti. Gli italiani? Oggi si lasciano consigliare un po' meno rispetto a un tempo, anzi a volte si sentono masterchef e sono loro a dare consigli a noi» dice sorridendo. Su questo le idee sono chiare: «Varese deve essere più aperta all'accoglienza dei turisti stranieri, oltre all'indotto portano anche il sorriso e la voglia di stare insieme».
Il legame con la terra di famiglia è ancora forte, nonostante Cesare sia varesino a tutti gli effetti. Lo è nello spirito, nei sapori e nei volti. Anche di quelli famosi. Come Gianni Morandi, a cui il nome di Monghidoro è legato indissolubilmente. E viceversa, tanto che il cantante in passato ha scelto più volte il Bologna per tornare a casa anche quando è lontano da casa.
«Gianni Morandi è stato qui da noi più di una volta dopo i concerti - continua Cesare - lo ha fatto perché ci conosce, sa che siamo suoi compaesani. I miei genitori sono cresciuti con lui. Monghidoro è un paese piccolo, ci si conosce tutti. Io ci torno ogni estate - ormai noi siamo "quelli di Varese" - e dato che amo correre capita di passare davanti alla villa di Gianni. Lui è molto alla mano e se ti vede si ferma, spesso corre anche lui visto che è un maratoneta, per salutare e fare due chiacchiere».
Persone autentiche, persone genuine: «E poi c'è Gerry Scotti - continua - anche lui nostro cliente. Indimenticabili alcune sue battute, come quella scritta sulla dedica: "Ma che Varese... siamo a Bologna!". A volte arrivava tre quarti d'ora prima, si faceva portare il nostro antipasto, lo divorava e, poi, quando si sedevano i suoi ospiti allargava le braccia dicendo: "Stasera niente antipasto, sono a dieta"».
Ma non sono i soli vip che hanno varcato la porta del Bologna. Se non mancano i nomi dello spettacolo - tutti rigorosamente immortalati in fotografie poi affisse alle pareti del locale - come Pozzetto e Guccini, Gina Lollobrigida, le sorelle Kessler, il regista Wim Wenders o Michael Schumacher, tantissimi sono i volti dello sport: dal basket al ciclismo, passando per l'hockey con pochissime eccezioni per il calcio (Paolo e Rudy Vanoli, Ricky e Sean Sogliano).
Lo testimoniano le maglie esposte, con tanto di autografo. Spiccano quelle di Marco Pantani del Giro d'Italia 2001, ma anche di Vincenzo Nibali, Filippo Ganna e di Alessandro Ballan vincitore iridato proprio a Varese («Venne qui con una sua maglietta autografata che doveva consegnare a qualcuno, ma dopo il pranzo si avvicinò e mi disse: "La voglio dare a te"» racconta Cesare).
Il Bologna, però, è per tutti la vera Hall of Fame del basket varesino: «A questi tavoli si respira ancora oggi il segreto dei trionfi della Grande Ignis. Quando Dino Meneghin, Marino Zanatta e proprio settimana scorsa Bob Morse si ritrovano qui sembra di essere sul set di "Amici Miei". Non mancano scherzi e battute come se il tempo non fosse mai passato, e quando escono li devo spogliare perché proprio come allora si riempiono le tasche di posate e bicchieri per lo spirito goliardico di sempre. Erano e sono soprattutto amici che si divertano a stare insieme ed è questo che rendeva imbattibile quella squadra».
Il cuore di Cesare batte anche per l'hockey: «Sono un ex giocatore: ho iniziato a pattinare alla Giazzera di Masnago e poi ho vestito la maglia degli "Orsi". Da me entravano ed entrano ancora i miti dei Mastini come Jim Corsi o, come accaduto qualche settimana fa, Maurizio Catenacci, leggendario attaccante degli scudetti della Kronenbourg. Come per il basket il segreto del successo è questo: sedere insieme al tavolo come un gruppo di amici. E anche i varesini che giocano oggi nei Mastini hanno questo spirito».