Storie - 20 agosto 2024, 14:50

Il varesino Vincenzo Peruggia e il celebre furto della Gioconda. A 113 anni dal colpo del secolo si riapre il "giallo del Louvre"

Un'indagine dello storico Silvano Vinceti torna sul colpo clamoroso messo a segno dal decoratore di Dumenza il 21 agosto del 1911: «Peruggia non fu l'autore del furto. Oggi al Louvre potrebbe esserci un falso». Le nuove teorie raccontate dall'Adnkronos

Vincenzo Peruggi e la celeberrima Monna Lisa

Vincenzo Peruggi e la celeberrima Monna Lisa

«Centotredici anni fa non fu il decoratore italiano (varesino, di Dumenza per la precisione, ndr)  Vincenzo Peruggia a rubare la Gioconda di Leonardo da Vinci dal museo del Louvre. E non si può nemmeno escludere che quella esposta e ammirata ogni giorno da trentamila visitatori sia, in realtà, solo una copia. Un falso d'autore».

In occasione della ricorrenza di uno dei più clamorosi furti di ogni tempo (21 agosto 1911), lo storico, ricercatore e scrittore Silvano Vinceti "ribadisce con forza" i risultati di una sua indagine, condotta dal 2016 con la collaborazione di diversi esperti, illustrata con dovizia di particolari nel libro "Il furto della Gioconda - un falso al Louvre?" (Armando Editore).

L'investigazione fu avviata grazie alla testimonianza di un certo Ballinari, residente a Cadero, in provincia di Varese. «Conoscendo il mio lavoro di storico fu lui a contattarmi - racconta Vinceti all'Adnkronos - e a riferirmi quanto gli aveva raccontato il padre, morto anni prima. Il genitore conosceva molto bene la moglie di Michele Lancellotti che col fratello Vincenzo era stato decoratore al Louvre. Nati e cresciuti nella piccola frazione di Cadero, erano amici di Vincenzo Peruggia che viveva a Dumenza, un paesino a pochi chilometri di distanza. Ebbene, secondo il racconto di Ballinari, in realtà ad organizzare il clamoroso furto fu un gruppo ben organizzato di cui fecero parte i due fratelli Lancellotti, un fantomatico marchese Eduardo de Valfierno, di nazionalità argentina, e il falsario francese Yves Chaurdon. Peruggia fu solo un collaboratore e la Monna Lisa non venne nascosta a Parigi nel suo piccolo appartamento. Infatti - aggiunge lo storico - secondo gli anziani abitanti del luogo il dipinto rimase celato a Cadero per due anni, e alla fine a Firenze venne portata solo una copia: il dipinto attualmente esposto nel Louvre».

Esaminando negli archivi di Stato della città di Firenze i documenti originali del processo che si svolse tre anni dopo il furto, sono poi emersi fatti a dir poco singolari. «L'unico vero interrogatorio a cui venne sottoposto Vincenzo Peruggia - spiega Vinceti - fu fatto dall'ispettore francese Vignolle nel corso di un confronto nell'allora carcere delle Murate. Il decoratore italiano, come scritto nel verbale, gli disse di aver rubato la Gioconda dalla sala Carrè tra le 7.30 e le 8.00 del 21 agosto. Ma proprio in quel lasso di tempo due operai, Dupond e Breard erano su un’impalcatura, intenti al restauro di un angolo della grande galleria, a pochi metri dalla Gioconda. Inoltre il capo operaio Pignet e sei operai, passando per il salon Carrè verso le sette e un quarto videro il quadro al suo posto».

E continua: «E, per di più, a una precisa domanda, Peruggia rispose di essere uscito dal Louvre con il quadro nascosto sotto la blusa (la “blouse”), l'ampio camiciotto da lavoro. Cosa impossibile, visto che il capolavoro è dipinto su una tavola di legno di pioppo di 77 x 53 centimetri e quindi non può certo essere arrotolato. Questo interrogatorio, che l'ispettore Vignolle concluse definendo il Peruggia contraddittorio e non attendibile, stranamente non fu utilizzato dal procuratore delle Repubblica che istruì il processo che si tenne poi a Firenze».

«Ma non è finita - prosegue la ricostruzione - il funzionario del Louvre che ritrovò la cornice della Gioconda disse alla polizia parigina che c'erano chiare ed evidenti impronte digitali. Impronte che furono fatte sparire poche ore da qualcuno evidentemente interessato ad evitare che un esame consentisse di risalire agli esecutori del furto, cioè i fratelli Michele e Vincenzo Lancellotti».

Proseguendo l'indagine, Vinceti accertò in Argentina che Eduardo de Valfierno non era mai stato un marchese e che in un'intervista rilasciata nel 1932 al giornalista americano Karl Decker descriveva Peruggia come un ingenuo e uno sprovveduto, manifestando euforia per la sua carcerazione a Firenze, con conseguente chiusura delle indagini sul responsabile o sui responsabili del furto.

«Emerse anche un altro documento originale, risalente a 18 anni prima di questa intervista - spiega Vinceti - una lettera anonima spedita da Torino nel febbraio del 1914 al direttore degli Uffizi nella quale, con molti dettagli, si indicava un truffatore come l’ideatore del furto del dipinto: Giovanni Osta. Dalla descrizione si trattava del sedicente marchese de Valfierno. Nella missiva si riferiva anche di come fossero state realizzate alcune copie della Gioconda (probabilmente ad opera di Yves Chaudron) e della possibile vendita a facoltosi americani. Tutti questi, e altri riportati nel libro, sono fatti supportati da documenti, sottolinea Vinceti che è anche presidente del Comitato per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e del Centro di Studi Leonardeschi (nato ufficialmente nel maggio scorso e che ha sede a Cadero, località in provincia di Varese, presso il Micro Museo della Gioconda)».

Un'altra parte importante dell'indagine ha riguardato l'autenticità del capolavoro recuperato. Fu certificata con una perizia giurata effettuata a Firenze il 15 dicembre del 1913 dai periti Giovanni Poggi e Nello Tarchiani che si basarono solo sul confronto con alcune foto in bianco e nero di scarsa qualità possedute dal museo. Delle foto e nemmeno ad alta risoluzione come quelle di oggi. «A giudizio di diversi professionisti che hanno collaborato con me all'indagine - conclude Vinceti - quella del 1913 non ha i requisiti di perizia tecnica e nemmeno la sua redazione in quel lontano periodo storico la potrebbe giustificare come tale. Peruggia non rubò la Gioconda e quello esposto al Louvre potrebbe essere un falso».

(Red-Cro/Adnkronos)

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