Varese - 15 agosto 2024, 08:20

IL RACCONTO DI FERRAGOSTO. Imprecazioni, stratagemmi e maledizioni. La mia lotta contro l'afa "varesina-cambogiana"

Il racconto di Mario Chiodetti: «Ho sempre odiato l’estate e adesso la detesto con ogni mia fibra residua, ritenendola una stagione volgare, piena di sudori, puzze, zanzare, ragni, condizionatori killer, ventilatori da torcicollo, spalmate di autan, infiniti pomeriggi vuoti e desolati e amici in vacanza, con il dannato sole che entra ovunque e non muore mai»

Mario Chiodetti in un autoscatto "estivo"

Mario Chiodetti in un autoscatto "estivo"

È arrivata. La parola ha un suono militaresco, feroce: allerta. Fa pensare alle mobilitazioni delle truppe, a un’invasione imminente, a un pericolo sconosciuto ma incombente che suscita angoscia e desolazione. Allerta. Occorre rimanere vigili, «allerta sentinella! Allerta sto», stiamo di vedetta, pronti a segnalare qualsiasi allarme, perché il rischio esiste, anche se invisibile. È un rischio sensoriale, che uccide lentamente ogni volontà, affossa la ragione e sfianca i riflessi, che piano piano allentano la vigilanza e subiscono il tracollo. 

Allerta canicola di grado 4, la Meteo svizzera, dopo il tentennamento di giovedì 8, ha alzato il livello di un grado, il 4 indica un “pericolo forte”, per le zone del basso Ticino e di rimbalzo anche le nostre, massacrate dall’aria sahariana da settimane, il maledetto anticiclone sub tropicale che fa somigliare Varese alla Cambogia, un orrendo miscuglio di calore da fornace e di umidità da Everglades che prende alla testa, putrefacendo il mio cervello, impedendomi qualsiasi attività cognitiva e rendendomi simile a una medusa spiaggiata. 

Temevo questo innalzamento di grado, ma gli svizzeri giovedì erano ancora speranzosi di temporali verso il 15-16 agosto, farfugliavano di antiche “rotture di Ferragosto”, ma ormai la rottura infinita è soltanto di maroni, perché ho sempre odiato l’estate e adesso la detesto con ogni mia fibra residua, ritenendola una stagione volgare, piena di sudori, puzze, zanzare, ragni, condizionatori killer, ventilatori da torcicollo, spalmate di autan, infiniti pomeriggi vuoti e desolati e amici in vacanza, con il dannato sole che entra ovunque e non muore mai. Sono nato nel mese più schifoso dell’anno, agosto, e non so se sia una punizione o il frutto di una volontà superiore che mi costringe a pagare, sudando e imprecando, chissà quali nefandezze commesse due o tre vite fa.

Allerta canicola di grado 4, un inferno, con i neuroni flambé e i muscoli di gelatina, il respiro corto e le crisi di panico lì pronte a scatenarsi per le apnee da sfinimento, l’auto divieto assoluto di uscire di casa, pena giramenti di testa, visione nera per calo di pressione, svenimenti prossimi venturi. Per cui, a seconda della durata dell’incubo tropicale, la mia persona subisce una forzata reclusione a volte per mesi, con l’attuazione di strategie militari per capire e programmare al minuto secondo le rarerrime uscite, per procacciarmi gli alimenti senza soccombere per strada o arrivare a casa affantozzato, madido e paonazzo, tanto da non rinvigorirmi nemmeno con la rossumata. 

Per il rancio meglio allora tentare l’uscita con la bicicletta? Già, ma alle sei e mezzo del mattino, cinque e mezzo al sole, ora ancora da purgatorio, i negozi sono chiusi. La macchina ormai è ferma da settimane, ha 23 anni ed è priva di qualsiasi strumento di condizionamento, quindi rimarrebbero i finestrini abbassati e la conseguente phonata a 37 gradi, foriera di immediata sincope. Decido di partire alle 7,45 con la bicicletta elettrica, vado più veloce e in teoria dovrei essere investito quantomeno da un refolino.

Da casa al supermercato più vicino, in fondo, c’è poco più di un chilometro, apre alle 8, ce la posso fare, ma nel mio cervello danza come lo spiritello del Babau l’allerta canicola di grado 4, con il suo “pericolo forte” e lo spettro dei 39 percepiti, per non dir dei 41 che i malati del 3B Meteo segnalavano da giorni a Varese tra il 10 e il 16 del fottutissimo agosto. 

Già prevedo il crollo e la conseguente caduta rovinosa in via Morosini, tra i pullman in corsa e qualche ennesimo cantiere, Chiodetti spiaccicato sull’asfalto rovente, ma arrivato giù già morto, per un colpo di calore fulminante, e lì dovrà esser bravo il medico legale a capirlo. 

Alternative? Nessuna. In un giorno di pazzia, mi è balenato in mente di tentare una sortita a piedi, dico se muoio muoio e amen, mi serviva lo yogurt di soia e il fornitore più vicino era in corso Matteotti, con qualche via traversa all’ombra magari ce l’avrei fatta. Ho percorso sì e no una ventina di metri, ma ho la scusante dell’orario, le 15,30, e la decisione è arrivata subitanea: a colazione sarei passato al tè verde, in fondo troppa soia non fa neanche bene, e poi gli Ogm, il tè c’ha gli antiossidanti e forse gli Omega qualche cosa, meglio così, ne ho una scorta acquistata a marzo, quando ancora si poteva. 

In casa ripenso a Einstein e alla teoria della relatività. Per farla capire ai cucù come il sottoscritto, diceva, buonanima, che quando sei con una bella ragazza un’ora ti sembra un minuto e invece, penso io, con 30 graduzzi in camera e 58 per cento di umidità, un minuto ha l’età dei mammuth e non sai che cacchio fare per ammazzare il tempo, impoltronato con il ventilatore al massimo a vedere lo strazio della nostra atletica alle Olimpiadi.

Di scrivere non se ne parla -l’ultimo neurone è in vacanza sulle Dolomiti- di leggere nemmeno, non parliamo di mettere in ordine i cassetti, una delle ultime spiagge degli zitelli disperati, assieme al fare i conti e metter giù un solitario che non viene mai. Potrei invitare una escort di lusso a casa, una botta di vita prima del trapasso, ma poi come la pago? Con un autografo di Verdi, ma mi sembra blasfemo. 

Penso allora a inventare nuove strategie per trascorrere la notte con una ventilazione almeno da mezza montagna. In camera da letto niente condizionatore acceso, pena paralisi mattutina e broncopolmonite sicura preceduta da afonia, per cui cosa faccio? Deumidifico un paio d’orette prima di coricarmi poi spengo, accendo il ventilatore e, genialata, faccio partire il condizionatore dello studio, dall’altra parte del breve corridoio, così l’aria fredda un po’ arriva in camera da letto, il ventilatore la muove e magari per tutta la notte almeno un effetto Campo dei Fiori riesco a ottenerlo. Poi però mi viene in mente la bolletta della luce, rata di settembre, bimestrale luglio e agosto, e ritorno immediatamente in pianura, 25 di minima notturna, lenzuola appiccicose e cuscino intriso di maledizioni. 

Allerta canicola di grado 4, io che non amo i cani li devo sopportare pure nelle costellazioni, il caldo torrido arriva proprio quando il sole ha oltrepassato il Cane maggiore e quello minore, vicino a San Lorenzo, data del mio inevitabile compleanno, che poveretto lui fu arso sulla graticola e messo lì nel calendario nel giorno giusto, che se l’avessero ibernato ormai non troverebbe più spazio nemmeno a gennaio, dove pascolano a volte anche i 20 gradi. 

Per cercare un po’ di refrigerio mentale, vado su Facebook a rivedere il mio autoscatto di anni fa, dove cerco aria come un boccalone fuor d’acqua davanti a un vecchio ventilatore rottamato da tempo, con sullo sfondo il “Pissavacch” e il “Pissabö” della Valganna completamente gelati, anche quella ormai un’immagine d’epoca. Lo inserisco ogni volta nel social non appena ilMeteo.it incomincia a tirar fuori caronti e luciferi in arrivo con temperature apocalittiche. 

Ormai i miei followers lo aspettano, ma son passati anni di prigionia estiva e imprecazioni, pruriti zanzareschi e ricoveri al pronto soccorso -due per crisi di panico notturne e pressione alla stelle- e dovrei rinnovare la fotografia, magari per corredare questo demenziale racconto.

Ma non sono il solo a odiare l’estate, oltre al compianto Bruno Martino, e tra tutti un genio della sintesi che mi trova naturalmente d’accordo. Solo una scritta, verde in campo giallo, concisa e degenerata, per dirla con Woody Allen: AFA  NCULO. 

Mario Chiodetti

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