La magia è quella nascosta sotto casa. Che non grida troppo sotto i riflettori, altrimenti che magia è. E confida in un’empia ma umana abitudine: perdere di vista ciò che è sempre sotto gli occhi. Una magia che è anche il battito di ali delle libellule.
Anche sferzata dalle pennellate di Andrea Jarach sul Sacro Monte e sulla bellezza vicino a noi, ho deciso che per una mattina in pace e nel verde non ero costretta ad affrontare ore di traffico (la domenica di rientro dei vacanzieri poi). Bastava spostarsi di pochi chilometri e dopo troppi mesi di assenza arrivare nella Solbiate Olona che per me da piccola significava proprio quello: l’assaggio della primavera, la pigrizia colorata dell’estate, i primi segnali di autunno e il sonno dell’inverno. Le stagioni, per me, si palesavano lì, non in città.
Da allora, molto è cambiato e – per una volta – non in peggio. Perché tutto quel ben di Dio per me era l’orto, con giardino del nonno Mario, che veniva ad aspettarmi alla fermata del pullman e mi afferrava subito per le braccia facendomi volare. Quando mi parlava della sua valle e di come facesse il bagno nel fiume da ragazzo, be’, io lo ascoltavo diligente come se mi raccontasse una delle sue fiabe. Mica poteva essere vero. Fuori dal rifugio protettivo del suo giardino, l’industrializzazione e la modernità che allora non faceva rima neanche di striscio con sostenibilità, mi mostravano tutta la propria grinta.
Non è stato facile, non lo è ancora, ma ci siamo svegliati e questa Valle oggi recupera la sua magia. Camminare lungo il fiume Olona è un’esperienza che riconcilia con il tempo, senza illusioni ma neanche delusioni. Certo, nell’acqua silenziosa l’occhio individua anche il perfido pneumatico chissà come finito lì. E prima di incamminarsi sulla pista ciclopedonale, con la coda dell’occhio, vedi una pila di rifiuti sul marciapiede della strada principale che fa sospirare.
Ma non importa. C’è qualcosa di più forte e irresistibile. Ed è la natura che si spinge fuori dal fiume e dalle costruzioni, dalle ditte morte e da quelle ancora vive. La natura alleata dell’uomo, come tutte le persone che incontri – in bici o a piedi – e che spesso ti senti in delizioso dovere di salutare. Come accade in montagna o in Paesi come l’Austria, dove gli abitanti ti salutano dal giardino di casa.
La gente vuole bene alla sua Valle. La coccola, come può, la racconta, la vive sempre di più. Per questo passeggiare con la cagnolina - aiutata anche dalla sua curiosità che spezza ogni tentazione dell’abitudine di cui sopra - diventa un piccolo rito che riconcilia oltre che appunto con la natura, con noi stessi.
Siamo tutti sullo stesso fiume, quello che ha dato vita e lavoro, che si è ribellato e ha spaventato, e che nella prima domenica di settembre accompagna mansueto le nostre escursioni sotto casa. Anzi, è un po’ timido, tra gli ultimi fiori e le foglie che sembrano molto più invadenti, ma in realtà forse lo vogliono solo proteggere.
Quando torniamo verso l’auto, sobbalzo vedendo una farfalla blu e smilza. La indico alla cagnolina mentre saliamo, ma all’improvviso mi rendo conto che ce ne sono diverse. E che non sono farfalle. In un istante torno la cittadina fifona che ero da bambina. Quando in giardino svolazzava un insetto e io correvo urlante dalla nonna Argia che scuoteva la testa: «Sei proprio una cittadina».
Ma queste non sono neanche creature extraterrestri, sono libellule che ci osservano forse molto più stupite di noi, anche se sembrano più che altro interessate alle foglie di una pianta rigogliosa. Risalgo in paese per un caffè e mi raccontano di tutti gli animali che si possono incontrare o anche solo presagire per tutto il percorso della Valle Olona, la bellezza di vedere le famiglie riunite, il potersi muovere liberi tra la natura e l’arte.
La Valle è tornata (da un pezzo) e chiede solo che sempre più torniamo anche noi. Che quelle numerose persone già felice di godersela, contagino gli altri con il desiderio di vivere una magia.