Oggi ricorre l'anniversario della nascita di un personaggio di caratura non comune, soprattutto di questi tempi: Angelo Borri. Nato il 30 luglio 1919, sindaco dal 1979 al 1985, Borri rappresenta ancora per Busto Arsizio un punto di riferimento per quello che ha significato e significa: "Un esempio che non può essere dimenticato" come scrive in questo vibrante ricordo personale Marilena Lualdi. Perché Borri, sindaco generoso ma risoluto, è una "figura che alla politica di oggi dovrebbe trasmettere una serena e potente scossa: basta esaltarsi, cercare la foto o peggio il selfie, c’è tanto, tanto da costruire".
Appartengo a una generazione solo vagamente fortunata: quella che ha potuto sfiorare la grandezza di Angelo Borri. Quel Borri così tigrotto da nascere cento anni fa, insieme alla sua Pro Patria.
Quand’ero ragazzina, ho avuto la gioia di incontrarlo e di ricevere da lui un riconoscimento tra altri ragazzini. Ma ero troppo piccola, emozionata e ribelle per capire a chi stringevo la mano.
Quando ho cominciato a scrivere alla Prealpina, lui già da alcuni anni non era più sindaco. Tutto ciò che aveva fatto, ciò in cui aveva creduto, ciò che aveva seminato attorno a noi continuava però a germogliare silenziosamente.
L’ho sempre sfiorato, come diversi, troppi della mia generazione, questo uomo così grande da non volersi esaltare. Un uomo che ha saputo lottare, senza ferire. Imprenditore, sportivo (a parte la Pro, per cui si infervorava da vera tigre, si dedicò ai valori dello sport, inoltre fu il papà dell’Ardor), con una fede profonda e non gridata. Uomo che amava la sua famiglia e la sua Bice, tanto da non poterle stare lontano quando lei scomparve.
Fu sindaco dal 1979 al 1985, quando la mia generazione era immersa nella sua missione adolescenziale di costruire e distruggere insieme. Di quei momenti mi arrivarono flash di racconti, a parte i pochi testi scritti, come “Angelo Borri. Una vita per la vita” di cui si occupò la nipote Antonella Rabolini.
Oggi, riprendendo in mano quel libro, così vivo, mi commuove il capitolo scritto da Gian Pietro Rossi. Mi ricordo che quando parlavamo, colui che era stato al contempo suo predecessore e suo successore, si ribellava alla definizione di “sindaco buono” per Angelo Borri. Perché nel nostro mondo, buono si presta poco – per nostra miseria – alla definizione più autentica. Per noi buono diventa generoso nell’accezione di colui che lascia passare, quasi debole.
E Borri non fu certo così. Fu un uomo fermo, che non conosceva però arroganza. Fu un uomo di una generosità così travolgente, che ci ricorda fino in fondo la poesia “Uaziòn” di Ginetto Grilli, quella in cui il fedele implora il Signore di allungargli le braccia per poter raggiungere più persone da aiutare ancora, di dargli la possibilità di raggiungere coloro che hanno bisogno: ancora e di più. Fino ad arrendersi e dire al Signore: mettici tu quello che non riesco a fare…
Ho avuto più occasioni di sfiorare l’incontro, che di incontrarlo, nella mia vita adulta. Da parrocchiana di Sant’Edoardo, quando passo davanti alla Madonna delle Rose, penso sempre a lui, perché mi narrano che egli amasse sostare lì
Abitava dietro la chiesa e io osai bussare alla sua porta una volta soltanto, negli anni Novanta. Fu quando il mio caporedattore Antonio Porro ascoltò la mia storia di parrocchiana un po’ ferita: la chiesa di Sant’Edoardo aveva il campanile mozzo, dalla sua nascita.
"Facciamo qualcosa, una campagna, interviste".
La voce di Borri risuonò con particolare autorevolezza in quella campagna e il campanile dopo tanti anni fu completato, grazie all’impegno di uomini e donne di buona volontà. Lo incontrai ancora dopo pochi anni, quando l’Ascom gli assegnò un premio, quello di personaggio del secolo, poco prima del suo addio nel 2001.
Era per un modo di dirgli grazie. A lui che aveva dato tanto, tutto. Una figura che alla politica di oggi dovrebbe trasmettere una serena e potente scossa: basta esaltarsi, cercare la foto o peggio il selfie, c’è tanto, tanto da costruire. Lui che – apprendiamo dal libro – la sua indennità non la ritirava: la lasciava a disposizione di chi aveva più bisogno.
Lui che – ci raccontano – in municipio teneva le porte aperte, mica installava citofoni.
Che responsabilità, far parte della generazione che ha sfiorato la figura di Angelo Borri. Così discretamente vicino a noi, da spingerci a cercarlo. A scoprire che lui oggi è un esempio che non può essere dimenticato. Così discreto da non urlarci di cambiare e tornare un po’ noi stessi, ma di sussurrarcelo con ogni tappa dalla sua vita per chi vuole soffermarsi. Per chi vuole non arrendersi a regole distorte dettate dai nostri tempi.
Del resto, il fatto che “il Baffo” sul Tigrotto ruggisse per la sua Pro, nata appena sette mesi prima di lui, la dice lunga. Prendiamo il finale di un articolo di 68 anni fa: «Sono stato un ingenuo. E’ l’affetto grande, un amore che alle volte fa paura a me stesso, l’affetto per la “Pro” che mi ci ha portato».
Buon compleanno, sindaco buono, anzi tigrotto. Con la tua Pro, e prima ancora la tua Bice. Speriamo di averlo addosso quell’amore, che a volte ci fa paura: per una squadra, una città, per un Paese, per un mondo. Per l’umanità e qualcosa di più.