Un Gek è per sempre.
Così come un Poz, un Menego, un Sandrino, un Velijo, un Cecco, un Charlie, uno Zanus e via dicendo: eroi imperituri che hanno saputo regalare a questa città la gioia sportiva più inaspettata, bella, palpitante e gioiosa di sempre.
L’ultima.
E allora, appena uno di loro “torna” in città, è subito festa, ricordo condiviso, abbraccio. Così è stato anche ieri al Santuccio, dove Giacomo Galanda, pivot e arma tattica devastante dei Roosters che vinsero lo scudetto della Stella nel 1999, ha presentato il suo libro “La mia vita a spicchi”, edito da Sunrise Media, un viaggio dentro la carriera di uno dei lunghi italiani più forti della sua epoca.
Intervisto sul palco del teatro dal direttore di VareseSport Michele Marocco, Gek ha ripercorso le tappe fondamentali di un percorso che dalla sua Udine lo ha portato a vestire le maglie di Verona, Fortitudo Bologna, Varese, Milano, Siena e Pistoia: «Tante volte mi era stato chiesto di raccontare la mia vita, forse perché ho fatto tante scelte diverse da quelle che altri avrebbero fatto. Ma ho soprattutto voluto fare un regalo a Dynamo Camp, che è una cosa bellissima…» ha spiegato l’ex giocatore, presentando al pubblico della Città Giardino una realtà molto importante che offre programmi di Terapia Ricreativa a minori affetti da patologie gravi o croniche, disturbi del neurosviluppo o condizioni di disabilità, alle loro famiglie e a fratelli e sorelle, permettendo loro di ritrovare fiducia in se stessi e migliorando la loro qualità di vita.
«Ripercorrere la mai carriera non è stato banale e nemmeno facile: a volte davanti a una foto non ricordavo nulla. Però piano piano ho recuperato le cose e sono ritornato alla mentalità che avevo a vent’anni: è stato un viaggio introspettivo ed è stato bello farlo con degli amici».
In “La mia vita a spicchi” Varese occupa un posto speciale: «Ma prescindere dallo spazio che occupa nel libro - ha aggiunto Galanda - per me è stata una parentesi importantissima. In primis perché mi ha fatto crescere, mi ha fatto calcare da protagonista i parquet importanti, come quelli di Eurolega. Ma soprattutto io arrivavo da una Bologna in cui non potevo esprimermi fino in fondo, mentre qui a Varese invece eravamo tutti liberi di esprimerci. E, messi insieme da Carlo Recalcati, fenomenale selezionatore di talenti, e da tutta la dirigenza, siamo diventati una squadra magica. Ci esaltavamo l’un l’’altro, aiutandoci. Il 1999 è stata un annata incredibile e me la sono portata dietro: Varese è una maglia cucita addosso. Quando torno qui mi sento varesino».
«Tutti tifiamo Varese perché torni a essere la Varese di quei tempi - un altro passaggio della chiacchierata - Se mi sarei mai aspettato di vincere quella Stella? Impossibile dirlo oggi. Però mi ricordo quando, in macchina con Cecco Vescovi, per la prima volta ce lo siamo detti: oh ma sai che potremmo anche vincere quest’anno?».