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Eventi | 29 gennaio 2025, 00:00

"Ogni prigione è un'isola": il dialogo tra Emiliano Bezzon e Daria Bignardi

Una serata ricca di riflessioni sulla condizione dei detenuti grazie agli spunti forniti dal nuovo romanzo di Daria Bignardi, presentato ieri sera in Sala Montanari a Varese

"Ogni prigione è un'isola": il dialogo tra Emiliano Bezzon e Daria Bignardi

Ieri sera, la Sala Montanari, nel cuore di Varese, si è trasformata.

È diventata, infatti, la cornice di un profondo, emozionante dialogo tra Emiliano Bezzon, giallista di Varese, e Daria Bignardi, nota giornalista e scrittrice. Il protagonista dell'incontro è stato, infatti, l'ultimo romanzo della conduttrice, Ogni prigione è un'isola, pubblicato da Mondadori.

«Dal '97, frequento l'ambiente del carcere, è un posto brutto e quando si scrive un libro ci pensi sempre, io volevo trovare una chiave che rendesse il mio racconto accattivante. Ho parlato molto di me, è uno tra i libri in cui parlo di più di me».

Tanti sono stati i ricordi d’infanzia e gli aneddoti della giornalista, i cui pensieri corrono alle sue lettere con un detenuto americano con cui si è corrisposta a lungo, da ragazza, a Tempi Moderni, «è stato il primo programma che ho scritto, il mondo stava cambiando, c’era un tema settimanale, ho pensato sarebbe stato bello avere la voce dei detenuti, ho chiesto il permesso alle autorità e, con un gruppetto, ogni settimana chiacchieravo sul tema della puntata. Da molti anni, frequento il Reparto delle Navi a San Vittore, in cui ai trovano i detenuti con reati quali la tossicodipendenza».

«Mi sono chiesta perché continuassi ad andare in carcere - ha proseguito l'autrice - ci torno sempre, ho ragionato su questo sentimento, ci sono tanti motivi, la situazione delle carceri è molto complessa, si parla di persone. Quando ho deciso di scrivere questo romanzo, ho voluto ricreare il più possibile una condizione di isolamento, così sono andata all'isola di Linosa da sola per molti mesi, è un'isola di pochi abitanti e mi sembrava che il carcere mi seguisse, ho trovato in biblioteca un faldone pieno di vecchi documenti relativi a soggiornanti mandati sull’isola dal '71 all’'88».

Tra le tante riflessioni, emerge l'idea comune che «il carcere non sia qualcosa che ci riguarda, in realtà Daria Bignardi affronta anche il tema delle migliaia di persone trattenute in carcare e non dovrebbero starci. Soprattutto, oltre ai detenuti, ci sono i direttori e gli agenti di custodia», ha riflettuto Bezzon.

«Come in tutte le situazioni estreme, le persone si sentono coinvolte, capiscono che bisogna dare tanto anche facendo questo tipo di lavoro, ci sono quelli che avanzano di carriera, altri che sono rimasti lì, in carcere, e quando in un posto ci sono così tanti problemi le situazioni diventano più violente. Ci sono tante persone bravissime, c’è un rispetto reciproco tra loro e i detenuti, il carcere è un mondo chiuso in cui, da un certo punto di vista, ci si sente parte di una comunità, ci sono suicidi anche tra gli agenti, è una vita dura per tutti». Non da ultimo per le detenute, «ho dedicato alcune pagine anche alle condizioni delle donne in carcere, spesso piangono perché i loro uomini le abbandonano, oltre allo strazio di essere lontane dai figli. Pensiamo che la percentuale di detenute è del 4,4, sono poche, anche i vari progetti non sono pensati per loro». 

I progetti sono importanti per i detenuti, perché consentono loro di avere un ruolo attivo, di apprendere, di mantenere il contatto con la realtà. «Il 70% dei detenuti è recidivo, entro un anno ritorna in carcere. Con un'eccezione: il carcere di Bollate, a dimostrazione di quello che possono fare risorse, impegno e cura», ha concluso la giornalista, con ancora lo sguardo a quell'isola, a ciò che quell'esperienza di isolamento le ha permesso di vivere per settimane e a ciò che, invece, alcune persone vivono per mesi, a volte per tutta la vita.

Giulia Nicora

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