Un Giancarlo Ferrero è per sempre, e Masnago lo ha dimostrato al diretto interessato sabato sera, nel ritorno dell’ex capitano alla Itelyum Arena. Proprio l’attuale numero 3 della Germani Brescia è stato ospite della quattordicesima puntata de L’Ultima Contesa, il talk show sulla pallacanestro di VareseNoi. Altro ospite è stato Alessandro Burin di VareseSport.
L’ala mancina di Bra ha rivissuto, durante la puntata, i momenti migliori e più toccanti del tributo che società e tifosi gli hanno riservato prima e dopo la partita, raccontando a mente fredda come ha vissuto lui la serata. Successivamente un’analisi di un match e di un contesto molto preoccupanti in casa Varese.
Qui alcune delle dichiarazioni di Giancarlo Ferrero.
«Ero tesissimo - le sue prime parole a proposito dell’emozioni vissute sabato - Io normalmente per la pallacanestro me ne faccio sempre una ragione, ma questa volta ero tesissimo, addirittura avevo sognato qualcosa due notti prima. Prima del riscaldamento è arrivato Peppe Poeta e mi ha detto "Se oggi ti viene in mente di fare qualsiasi cosa, se vuoi andare ad abbracciare qualcuno, fallo" e da lì ho fatto tutto quello che sentivo il bisogno di fare. Mi sono lasciato trasportare dalle emozioni e me la sono goduta».
Se si aspettava di giocare: «Sono quelle cose che l’allenatore non ti dice ma sai che succederanno. Ero sicuro che avrei avuto dei minuti veri. Ovvio che alla fine è stato un piacere, vi assicuro che è stato strano vestire altri colori all’interno del palazzetto, ma mi ha fatto tanto piacere giocare e metter il mio mattoncino come sempre. I momenti più belli? La presentazione, l’abbraccio finale e la cena dopo con Il Basket Siamo Noi. Quella palla non l’avrei lasciata neanche in punto di morte».
Sull’impatto e l’inserimento degli americani nel campionato italiano: «Ci sono americani, come ad esempio il mio compagno Jason Burnell, che sono a conoscenza perfettamente di tutto il campionato, non hanno necessità di essere guidati, hanno già visto tutti i palazzetti e comprendono le dinamiche. Reputo importante, per quanto ho imparato nei miei anni in A2 e in Serie A, quando ci son stranieri che arrivano in nuove realtà che ci sia una persona all’interno della squadra che lo aiuti nell’inserimento, perché a volte non è solo una quesitone di campo ma anche di piccole cose che lo aiutano a stare bene. E poi spiegargli qual è il peso specifico di ogni partita in Italia. Questo l’ho sempre reputato molto importante».
La sua visione sulla Pallacanestro Varese: «Se guardo quello che sta facendo fuori dal campo io vedo che c’è grande iniziativa, grande competenza, cose positive, proiezione sul futuro, collaborazioni con aziende di un certo tipo che servono per costruire qualcosa a medio termine, c’è grande la voro e vuol dire che c’è competenza in tutta la società. Ho visto il palazzetto ancora una volta migliorato, con attività e iniziative nuove. Per quanto riguarda il campo avevamo visto le ultime tre partite e avevo avuto la percezione di un ritrovamento, con un rendimento recente da parte sinistra della classifica. Mi aspettavo una squadra gagliarda che mette le mani addosso e che corre».
La differenza tra la squadra di Brase (di cui faceva parte) e questa? «Gli interpreti. Colbey Ross, Tariq Owens… Con Markel Brown andrei in guerra in prima linea in trincea. Anche nel reparto italiani: Giovanni De Nicolao, Tomas Woldetensae aveva fatto un grande anno, come lo stesso Willy Caruso. Johnson che, al netto della partita di sabato, è un giocatore di spessore, non dimentichiamoci di Reyes prima dell’infortunio. In quella stagione sicuramente hanno avuto merito Brase e Galbiati, non posso non nominare Arcieri, tutti hanno avuto il merito nella costruzione. Non è un paragone con la squadra di oggi, ma quell’anno oggettivamente era uno squadrone».
I suoi tanti ricordi in maglia biancorossa: «Una partita con Milano in casa, i derby con Cantù, le partite di FIBA Europe Cup con poche persone ma che mi hanno fatto conoscere. Se guardi le statistiche ci sono state più sconfitte che vittorie (136/147), ma vuol dire che sono stato capito come giocatore, professionista e uomo».
Sul ruolo di capitano affidato a Librizzi: «Sono convinto Libro lo dovrà fare a modo suo. Siamo due persone diverse, con sentimenti, modi di fare, età ed esperienze diverse, però sicuramente Libro ha qualcosa dentro, ha fame e voglia di affermarsi. Oggi è l’anima di questa squadra».
Sul suo rapporto con Toto Bulgheroni: «È una persona per me importantissima, non nel basket, ma nella vita. Lo vedo come un punto di riferimento e di successo, rispettato da tutti con una famiglia d’oro. Una persona che dovunque vai è riconosciuta come credibile e affidabile. Per me è stato importantissimo nella crescita cestistica ma anche oltre la pallacanestro».
Qui sotto il video della puntata integrale.