Quando rientriamo a casa dopo un viaggio, abbiamo bisogno di un momento per elaborare quello che abbiamo vissuto, per mettere insieme tutti i ricordi, le emozioni che il viaggio ci ha lasciato e raccontare ciò che abbiamo dentro la mente e dentro il cuore.
Così è stato anche per Ottavio Missoni: il pilota e imprenditore varesino, infatti, a qualche giorno dal suo rientro dall'Africa, ci ha raccontato quello che ha rappresentato per lui partecipare alla Rally Dakar 2025.
A due anni dalla prima Dakar, per la seconda volta Ottavio ha salutato per circa due settimane (dal 3 al 17 gennaio) la famiglia, per sfidare il deserto in sella alla sua Kove 450 Rally, moto cinese affidata a lui e al suo compagno di squadra Cesare Zacchetti da Kove.
«Sono contentissimo per la prestazione, di come ho retto la gara, quest'anno è stato più difficile, correvo nella categoria Malle Moto, senza assistenza da parte dei meccanici».
A rendere tutto più intenso a livello emotivo c'è stata anche «la scomparsa della nonna, il mio pensiero era a lei durante la gara, è stata dura. Sono arrivato pronto fisicamente, ma ci sono stati alcuni momenti in cui avrei voluto essere a casa per stare con la mia famiglia».
Nonostante un inizio segnato da un po' di tristezza e sconforto, «poi la situazione è migliorata. In realtà, non ho neanche mai guardato la classifica, non sapevo in che posizione fossi fino alla quinta tappa, ovvero il quarto giorno di gara, quando l'auto davanti a me ha sollevato la polvere e sono scivolato. Ero quasi fermo ma sono caduto su alcune pietre e questo è bastato per rompere il manubrio. Questo ha condizionato tutta la gara perché ho corso due giorni a passo lento e, quando sono arrivato al punto di controllo era tardi e mi hanno vietato di proseguire per questioni di sicurezza. La conseguenza è stata finire fuori classifica, quindi ho potuto proseguire il percorso fino alla fine ma non ho ricevuto l'ambita medaglia», ha continuato Ottavio, con un sorriso.
«In ogni caso, nei giorni successivi tutto è andato bene, come se non fosse successo nulla, sono stato contento lo stesso, sono stati comunque giorni bellissimi, ero spesso in compagnia degli altri italiani, più o meno andavamo alla stessa velocità, ci siamo divertiti. Il mio compagno di squadra ha rotto il motore, sono stato con lui due ore per provare a sistemarlo prima di dover ripartire per non arrivare con il buio, ma è stata un'esperienza da ricordare».
Questo è ciò che rende la Dakar una gara indimenticabile: l'atmosfera che si respira, lo spirito che unisce i piloti, la voglia di arrivare in fondo, voltarsi indietro, guardare le dune del deserto appena percorse e rivivere le emozioni vissute e condivise.
«Per quanto riguarda la moto, l'ho capita solo lungo il percorso di gara, mi ha portato alla fine, l'emozione all’arrivo c’è stata, e tanta, è calata la tensione delle ultime due settimane. Al tempo stesso, sono felicissimo di essere tornato a casa!» ha concluso il pilota varesino, con il profilo del deserto ancora negli occhi.