Varese dalla vetrina - 22 gennaio 2025, 07:01

VARESE DALLA VETRINA 39. Al Campus da Elio, l’uomo che prende per la gola la Pallacanestro Varese (e non solo)

Se la società biancorossa, chi ne fa parte, chi le gira intorno, ha un luogo che a tutti gli effetti può chiamare casa, il merito è anche suo. Del suo sorriso, delle sue premure e dei piatti confezionati in cucina da sua moglie Rosana: dal 2006 il bar-ristorante del centro sportivo di Masnago è una loro creatura. Da qui ogni giorno passano i giocatori della prima squadra, i ragazzi delle giovanili, i genitori e tutti coloro che frequentano la struttura: «I miei preferiti di sempre? Diawara e Recalcati, due persone incredibili. Il piatto che farei cucinare per festeggiare la salvezza? Una carbonara, anche gli americani ne vanno pazzi…»

Elio, a sinistra, insieme a Serena e Manuel, parte della squadra che gestisce il bar-ristorante del Campus

Se la Pallacanestro Varese, chi ne fa parte, chi le gira intorno, ha un luogo che a tutti gli effetti può chiamare casa, il merito è anche suo. 

Del suo sorriso, che accoglie chiunque, indistintamente: è un biglietto da visita, una cifra stilistica, un passpartout che apre ogni cuore, con semplicità. Delle sue premure, che nascono da un’attenzione fuori dal comune a quei piccoli particolari che fanno la differenza: bastano un paio di pranzi e lui si ricorda il tuo nome e i tuoi gusti, facendoti sentire considerato e ben voluto. Della sua cucina (ma nel caso si specie lo zampino è più di Rosana, la moglie, regina incontrastata dei fornelli): semplice, sana, buona. E non c’è niente di meglio che prendere una persona per la gola per vederla tornare…

Oggi Varese dalla Vetrina è andata a trovare Elio Pescarino, il volto principale di quella squadra che gestisce il bar-ristorante del Campus, uno degli ombelichi del mondo dello sport (e non solo) varesino. Qui si allena e lavora il più importante sodalizio cestistico cittadino, seguito dalle sue composite giovanili. Qui ci sono un centro medico e un poliambulatorio di avanguardia diventati un punto di riferimento per la città. Qui, fino a due anni fa, c’era anche una palestra, apprezzata e frequentata.

Un porto di mare, insomma, per addetti ai lavori, ragazzi e ragazzini, frotte di genitori, giocatori e appassionati.

In luoghi del genere il bar diventa il minimo comun denominatore che ha il "compito" di saldare insieme ogni tassello: un impresa non facile che per Elio è diventata vita quotidiana a partire dal settembre del 2006. Quando dici Campus dici famiglia Bulgheroni, da Toto a Edo: loro hanno avuto l’idea, loro l’hanno portata avanti. Elio faceva già parte della “famiglia”, da gestore di un bar di loro proprietà in via Peschiera, quando è arrivata la proposta: «Conoscevo benissimo il Campus - racconta - un po’ perché seguo il basket da sempre, un po’ perché portavo qui mio figlio ai corsi di nuoto. Quando mi hanno offerto la gestione del bar ho detto subito sì, è una prospettiva che mi ha affascinato molto».

Alla base un rapporto di fiducia reciproca che in ogni progetto imprenditoriale è la conditio sine qua non del successo: «Lavorare per la famiglia Bulgheroni è sempre stato un piacere. Toto è una persona d’altri tempi, i figli altrettanto. Per me è come essere in famiglia, c’è grande empatia e, lo dico con il cuore, loro mi hanno sempre sostenuto, anche nei momenti difficili». 

Sono passati più di 18 anni e paiono volati. La “squadra” dietro al bancone ha sempre avuto i suoi capisaldi: oltre a Elio e Rosana, ecco Serena, la gentilezza e la bravura fatta a cameriera, e Manuel, fedele scudiero. L’idea non è mai cambiata, almeno per quanto riguarda il cibo: «Una cucina sana, il più possibile fresca e con pochi grassi, l’alimentazione ideale per gli sportivi. Con il tempo ci siamo un po’ evoluti, ma quell’impronta è rimasta». Nel menu del ristorante - che cambia ogni giorno - girano 40-50 piatti, ruotati in base alla stagionalità: si può scegliere tra un elenco di primi, di secondi e di piatti unici. L’equilibro è il punto di partenza, il gusto arriva subito dopo: una manna per chi ogni giorno si siede a questi tavolini e ci arriva dopo aver faticato e non poco.

E allora arriviamo al biancorosso, il colore di fondo, oggi come ieri: «Siamo tornati a essere la vera casa della Pallacanestro Varese- dice Elio orgoglioso - Prima squadra, settore giovanile, minibasket: ora ci sono tutti. Una certa quotidianità però è sempre esistita, in un modo o nell’altro: i giocatori da qui sono passati quasi ogni anno, apprezzando l’idea che la società potesse avere una facility di questo tipo. Soprattutto per gli americani è considerato un valore aggiunto».

Si apre il libro dei ricordi, dei rapporti umani rimasti incastonati nell’anima: «Tra i tanti, uno che porto nel cuore è Yakhouba Diawara - confida il gestore - Persona fantastica, umanamente ineccepibile, bravo anche con i giovani, che difendeva e coccolava. Il suo rapporto con Varese è ancora oggi granitico. E poi Randolph Childress, il “professore”, un uomo d’oro: quando veniva a prendere il caffè, lo offriva a chiunque si trovasse con lui al bancone, anche se non lo conosceva».

Dai giocatori agli allenatori: «Carlo Recalcati rimane il mio preferito: un autentico signore, di un’educazione squisita. Ma non è l’unico che ho apprezzato: ho avuto buonissimi rapporti anche Frank Vitucci, anche se è stato qui poco, Stefano Pillastrini, una bravissima persona, con Magnano, simpaticissimo, e con Attilio Caja. Herman Mandole non fa eccezione: è bravo ed educato. Mi è dispiaciuto molto quando è stato fischiato a Masnago, penso che invece gli vada riconosciuta una gran voglia di lavorare e di fare bene, fin da inizio anno. Lui e il suo sorriso sono parte di noi».

Ospitare, praticamente quasi tutti i giorni («gli americani si fermano sempre, gli italiani spesso») i giocatori significa, da una parte, avere una grande responsabilità, quale è quella di occuparsi dell’alimentazione di un atleta, dall’altra entrare nella confidenza di gusti e preferenze: «A parte alcuni abbinamenti un po’ strani prediletti dai alcuni ragazzi USA, tipo pollo e pesto insieme, devo dire che tutti alla fine arrivano ad apprezzare la semplice cucina italiana che proponiamo. I ragazzi di quest’anno? Nino (Johnson) non mangia il maiale, Harris (che ora ha salutato la truppa) amava lo spezzatino con i piselli. La guancia di manzo con verze e lenticchie è un altro dei piatti che va per la maggiore. Cosa cucinerei per festeggiare la salvezza? Pensandoci bene, direi la carbonara: i giocatori ne vanno pazzi».

Salvezza a cui Elio, da appassionato che non si perde una partita qual è, crede, così come crede nella gestione Scola: «Partiamo da un presupposto: Varese è il basket. Chiunque ne parla, anche chi viene al palazzetto una volta all’anno. Oggi penso che le idee di Luis abbiano portato entusiasmo e un ricambio generazionale da non sottovalutare, invertendo la tendenza di qualche anno fa: i giovani si riconoscono nel modello proposto dal General…».

A proposito di giovani… Il nostro ne vede parecchi: «I ragazzi di oggi sono cambiati? Sì, come sono cambiati gli adulti. È il mondo che va così. Ritengo però che chi gioca a basket abbia una marcia in più, perché conosce l’educazione e sa cosa significa rispettare le regole. A Varese, poi, i ragazzi sognano ancora di emulare i protagonisti della Serie A, e non parlo solo di un Mannion, ma anche di un Librizzi, ora diventato capitano. Matteo lo conosco da quando aveva 6-7 anni, mi ricordo ancora che un giorno - era piccolo - lo sgridai perché insieme a un suo compagno aveva fatto cadere la Coca Cola sporcando per terra. Gli feci prendere il mocio e pulire tutto. Gli voglio bene, ha una cazzimma enorme».

Cento di questi anni al Campus, allora, caro Elio. E quando ti sarai stufato c’è una bella spiaggia ad aspettarti: «Sì, quella di Rio Das Ostras, in Brasile, dove - quando ero più giovane - ho gestito un chiosco. Amo il Brasile, l’umanità delle persone, sanguigna e passionale. Per me, insieme al Campus, è il luogo che chiamo casa. Quando finirò di lavorare, tornerò là. Come farò senza la Pallacanestro Varese? Semplice, la guarderò su Dazn…».

Fabio Gandini e Andrea Confalonieri