Cultura - 20 gennaio 2025, 17:11

Un pianista di Bodio alla Carnegie Hall di New York: «È come un sogno, ma ogni estate torno a Varese dove tutto ebbe inizio»

Il musicista Emilio De Mercato, originario di Bodio Lomnago e residente da tredici anni a Edmonton, debutterà il 9 maggio in una delle sale da concerto più prestigiose del mondo: «Tutto iniziò con il festival Musica In Cripta alla Brunella, ma rifarei la scelta di partire e la suggerirei a tutti. Cosa serve? Coraggio, spirito di avventura e sacrificio. Di Varese non mi mancano l’ansia nel rincorrere le cose, la mentalità basata spesso prima sui problemi piuttosto che sulle soluzioni e gli ostacoli nel portare avanti un progetto»

Il pianista varesino Emilio De Mercato il 9 maggio debutterà alla Carnegie Hall di New York, uno dei templi mondiali della musica

Un pianista varesino in primavera varcherà la soglia della prestigiosa Carnegie Hall di New York, coronando così una carriera musicale iniziata nella nostra città e proseguita in Canada, dove il musicista risiede da quasi 13 anni. Emilio De Mercato, diplomato al Conservatorio di Milano e quindi allievo in Svizzera di Bruno Canino, ha debuttato come solista nel 1999 nella Sala Verdi del Conservatorio con il Concerto n.5 Imperatore di Beethoven e l’orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Pietro Mianiti. A Varese aveva organizzato per sette anni la rassegna Musica In Cripta alla Chiesa della Brunella, un festival qualitativo con interpreti provenienti da diverse parti del mondo. Fondatore della scuola di musica Art of Sound a Bodio Lomnago, Emilio De Mercato ha poi deciso di cambiare vita e mondo, trasferendosi a Edmonton, dove tuttora vive con la famiglia.

Il 9 maggio prossimo ci sarà il suo debutto in uno dei templi mondiali della musica, dove porterà un programma virtuosistico, con Liszt e Mussorgsky: cosa prova e come mai la scelta di questi brani?

Nel momento in cui il mio concerto di debutto è stato confermato e ho visto il mio nome sul sito della Carnegie Hall, è stato come un sogno. Ho voluto prendermi il mio tempo per interiorizzare e prendere confidenza con un avvenimento incredibile, e tanto atteso. Questa è la prima intervista in cui ne parlo, e quindi primo annuncio pubblico, a Varese e in Italia. Sento ora che la cosa è più “mia” e “normale”, ho messo da parte il nervosismo del debutto sul palcoscenico tra i più importanti e ambiti al mondo, sono concentrato sulla musica e lo studio, e sui vari concerti in calendario fino a quello di New York.
Nel mio percorso di vita e di carriera, che mi piace immaginare come una linea in continua ascesa nel lungo termine, sono grato di questo avvenimento a coronamento della mia passione e professione. Per quanto riguarda la scelta dei brani per il programma, le opzioni erano diverse. Al di là dell’elemento virtuosistico, in definitiva ho pensato a brani del mio repertorio significativi per me e la mia storia, e auspicabilmente interessanti per il pubblico della Carnegie Hall. Ho cercato in qualche modo di essere poco scontato, e allo stesso tempo popolare.
Esiste un filo conduttore, volendo, e anche un riferimento-legame al mio paese d’origine, con un tributo particolare a Dante Alighieri. Il filo conduttore è quello di brani descrittivi e/o ispirati da fonti extra-musicali, siano queste letterarie o artistico-pittoriche. Il riferimento al mio paese è costituito dal dittico Lisztiano dagli “Anni di Pellegrinaggio-Italia: Sonetto del Petrarca 104”, e la Fantasia quasi Sonata “Après une lecture du Dante”. Quest’ultimo pezzo vuole anche essere un tributo a Dante nel 760° anniversario della nascita del Sommo Poeta nel 2025. Le “Kinderszenen” di Schumann - che definisco “facili da suonare male” - contrappongono intimità e raffinatezza alle enormi sonorità e al virtuosismo tecnico trascendentale di Liszt e dei “Quadri di una Esposizione” di Mussorgsky, costituendo così complementarietà.
In definitiva, spero con questo programma di accompagnare il pubblico in un percorso visionario e ispiratore, e di sfruttare tutto il potenziale pianistico, dello strumento e del sottoscritto.

Com’è la vita culturale e musicale nella sua città?

Vivo in Canada da dodici anni e mezzo, e nel 2018 ho preso la cittadinanza canadese. Abito a Edmonton, capitale dell’Alberta, e la vita culturale e musicale qui è piuttosto variegata e in evoluzione. È una comunità fatta di persone provenienti da tanti paesi del mondo e diverse culture. Essere immersi in questo contesto è interessante perché veramente aiuta a sentirsi cittadino del mondo, ad aprire la mente, e a fare delle diversità un valore. Persone di varie nazionalità ed etnie qui si ritrovano e spesso costituiscono gruppi o associazioni - come, per esempio, il National Congress of Italian-Canadians, di cui faccio parte - con l’obiettivo di celebrare e condividere con la popolazione locale la propria cultura con eventi e manifestazioni.
Per quanto riguarda la vita musicale, si può trovare un po’ di tutto, dai festival di musica jazz alla musica sinfonica, dall’opera lirica ai concerti cameristici. Se parliamo in particolare di musica classica, c’è però ancora parecchia strada da fare. Ha tuttavia il suo fascino trovarsi in un territorio del mondo ancora non saturo, e in evoluzione. In questi anni mi sono inserito in questo meccanismo, dando anche il mio contributo artistico alla crescita della diffusione della musica classica, per esempio con la costituzione dieci anni fa dell’Alberta Symphony Orchestra Society.
 

Cosa le manca di Varese, se qualcosa le manca, a parte la famiglia?

Dopo tanti anni, incomincio ora a sentire il volume del mio vissuto qui in Canada. Se nei primi anni mi sentivo come un visitatore, ancora con forti legami con Varese, ora il mio bagaglio di esperienze professionali e di vita qui inizia a essere pesante e a contare parecchio.
Rifarei la scelta di partire e la suggerirei a tutti, nonostante qualche sofferenza. È affascinante, come scrivere un capitolo tutto nuovo nella propria vita. Vuol dire darsi l’opportunità di esplorare altri orizzonti e imparare tante cose, non per scappare o tagliare col passato, ma per un accrescimento esistenziale. Tutto ciò richiede coraggio, spirito di avventura, e sacrificio.
In tutti questi anni, sono tornato a Varese quasi ogni estate, a rivedere con una certa regolarità i luoghi e a incontrare i miei amici più stretti, oltre naturalmente alla famiglia.
Ogni volta che torno mi sembra di fare un viaggio nel passato, è una sensazione particolare, anche forse dovuta al fatto che, anno dopo anno, tante cose le ritrovo perfettamente immutate. Se pensiamo poi che al giorno d’oggi i mezzi di comunicazione, i social, e la facilità con cui si viaggia, rendono le distanze molto più piccole, allora le cose che mi mancano sono effettivamente ridotte.
Potrei dire cosa non mi manca del vivere a Varese: l’ansia nel rincorrere le cose, il sistema e mentalità basati spesso prima sui problemi piuttosto che sulle soluzioni, e gli ostacoli nel portare avanti un progetto. L’ho vissuto per esempio con le stagioni concertistiche di Musica in Cripta, e con la Scuola di Musica Art of Sounds, di cui spero qualcuno si ricordi ancora. Nel corso di sette edizioni di Musica in Cripta alla Chiesa della Brunella, circa cinquanta concerti di tutti i tipi, grandi artisti e serate indimenticabili, le soddisfazioni sono state tante. La rassegna era diventata un appuntamento varesino ormai tradizionale. Ricordo però anche le difficoltà. Con la mia partenza poi è diventato difficile continuare a organizzare e gestire a distanza. Ho provato a delegare, ma non sono riuscito a trovare collaborazione. Idem per quanto riguarda la Scuola di Musica Art of Sounds di Bodio Lomnago, che ha offerto lezioni di musica per diversi anni. Chissà che in futuro non possa esserci un ritorno delle due realtà. Poco tempo fa ho tentato di contattare il Comune di Varese per proporre un ritorno di Musica In Cripta, magari con una formula di festival estivo, ma non ho trovato riscontro.

Qual è la sua occupazione oggi? Insegna e fa concerti?

Il mestiere di musicista mi porta a occuparmi e a lavorare su vari fronti: faccio concerti come pianista e direttore d’orchestra, insegno al Mount Royal University Conservatory a Calgary, e nel mio studio privato di Edmonton, sono compositore, organizzo concerti, presidente e direttore musicale dell’Alberta Symphony Orchestra Society che quest’anno festeggia dieci anni di attività. Mi capita di essere occupato contemporaneamente su tutti i fronti. In questo momento però sono focalizzato sul mio tour pianistico, per cui ho ridotto per ora l’insegnamento, e rimandato altri progetti.

A parte la musica, quali altre passioni coltiva?

Oltre alla musica, la mia principale occupazione e passione è crescere mio figlio Andrea, ora tredicenne, una persona estremamente importante nella mia vita. Faccio del mio meglio per essere un buon padre, per trasmettergli i miei valori e la mia cultura. Ci tengo a essere presente e a vivere con lui la sua crescita e le sue esperienze. Per il resto, non mi rimane molto tempo, ahimè. Mi piace seguire il calcio in Italia, cucinare, fare passeggiate, andare al cinema, trascorrere del tempo con gli amici, ma più che passioni, credo siano modi per “staccare”.

Pensi in futuro di tornare in Italia?

Non è certo, ma non è escluso. Il mio futuro non è facilmente definibile. Mi sento un po’ il “Wanderer” di Schubertiana memoria. Fondamentalmente mi piace una filosofia di vita in evoluzione, piuttosto che in direzione circolare o ciclica. Dunque sono aperto a cosa succederà, anche se con la dovuta prudenza, e a dove la musica mi porterà. Non credo di restare per sempre a Edmonton. Da tempo medito di trasferirmi magari a est del Canada. Tornare in Italia, il paese più bello del mondo, magari nella mia bella Bodio Lomnago, sarebbe l’ideale ultimo.

Mario Chiodetti