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Politica | 19 gennaio 2025, 08:44

L'ANNIVERSARIO. Bettino statista o demone? Il varesino Fassa: «Due Craxi potenziali hanno fallito, vediamo ora se il terzo ce la farà»

Oggi, domenica 19 gennaio, cadono 25 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, amato e odiato, ultimo vero politico o "fantasma di Hammamet": abbiamo chiesto all'ex sindaco di Varese e uomo di cultura Raimondo Fassa di farne un ritratto e darne una valutazione giuridica, morale e politica. «Dalle lacrime di coccodrillo all'auto assoluzione, lo si ricorda per il suo potere così come accade per Mussolini. Mostrò coraggio nel suo famoso intervento alla Camera, rimase da solo e gli altri pensarono di far affogare lui per lavare le loro colpe. Un suo erede? Ci provò Berlusconi. Meloni ricorda il suo decisionismo»

A sinistra: l'ex sindaco di Varese Raimondo Fassa. A destra: Bettino Craxi

A sinistra: l'ex sindaco di Varese Raimondo Fassa. A destra: Bettino Craxi

«Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti», titolava “Cuore” in uno storico numero del 30 marzo 1991, prima che si scatenasse la bufera di Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica.

Oggi, domenica 19 gennaio, cadranno 25 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, che di quell’Italia è stato uno dei principali artefici e protagonisti, padre padrone del Psi, uomo dal piglio autoritario - Forattini lo disegnava in camicia nera con gli stivaloni o come il brigante Ghino di Tacco - amato e odiato in egual misura, giudicato responsabile del “sacco” del paese, finito esule latitante ad Hammamet, malato e sconsolato.

Un grande statista, oppure un dittatore arrogante e decisionista, che non seppe frenare la deriva del suo partito? Dell’uomo si parla tuttora abbastanza, sono recenti le due biografie “Craxi l’ultimo vero politico” di Aldo Cazzullo, e “Il fantasma di Hammamet” di Massimo Franco, anche perché al suo confronto, nel bene e nel male, i politici di oggi appaiono dei nani. 

Ma chi fu veramente Bettino Craxi, il più potente segretario del partito socialista, presidente del Consiglio dei ministri e presidente del Consiglio europeo, capace di prove di forza e patriottismo come quella legata alla vicenda di Sigonella dove tenne testa a Ronald Reagan?

Lo abbiamo chiesto a Raimondo Fassa, sindaco di Varese dal 1993 al 1997, parlamentare europeo e oggi lettore di Lingua e cultura italiana all’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi

«Il rinnovato interesse sulla figura di Craxi la dice lunga su politica e cultura oggi in Italia. Si parla molto di lui e di Mussolini, sembra che nel nostro paese i politici più importanti siano stati loro, e invece di mantenere una damnatio memoriae li si ricorda per il loro potere. Sul perché ci possono essere due spiegazioni: le cosiddette lacrime di coccodrillo, con Craxi che ha pagato per tutti avendo certo le sue responsabilità, mentre altri hanno continuato la carriera politica. Mi ha sempre meravigliato, per esempio, come Giuliano Amato, che giudico un galantuomo, non si sia accorto del verminaio che stava minando il suo partito. Ciò non significa per forza essere correo, ma non praticare una censura politica che sarebbe stata fondamentale. Un altro motivo è l’auto assoluzione della classe politica dai fenomeni gravi di corruzione. Non ho conosciuto personalmente Craxi, ma lo vidi una volta in corso Garibaldi a Milano quando ero studente. Arrivò un’auto blu, scese un uomo imponente con un cappotto blu scuro e incominciò a guardarsi attorno, sembrava Farinata degli Uberti che “avesse l’inferno a gran dispitto”. Trasudava potere, incuteva rispetto e timore, sembrava il padrone del mondo».

Come valuta, a 25 anni dalla morte, la figura e la vicenda di Craxi?

«È una valutazione giuridica, morale e politica. Le sue responsabilità giuridiche ci sono, è innegabile. Lo strano rimane come Tangentopoli colpì tutti tranne il Pci. O questo partito effettivamente non ebbe responsabilità, oppure furono bravi a occultare le magagne. È anche vero che il Pci non ebbe ruoli molto rilevanti in governo, nelle decisioni capitali dove girava parecchio denaro. Poi, dopo il crollo del Muro di Berlino non era più fondamentale avere la “diga” del pentapartito contro l’avanzare del comunismo, per cui venne meno il consenso sociale e la magistratura potè agire con maggiore libertà. Sul piano etico il giudizio non è positivo, prima di Tangentopoli si sentiva già nell’aria uno sdegno morale nei confronti della classe politica, la “casta” del saggio di Gian Antonio Stella, un gruppo di intoccabili privilegiati. Ciò non toglie che la gazzarra con il lancio delle monetine all’uscita di Craxi dall’hotel Raphael di Roma, sicuramente ben orchestrata, sia stata un linciaggio morale che di morale ha ben poco, cosicché anche i suoi detrattori, a mio avviso, non ne escono bene».

E dell’aspetto politico che dice?

«Craxi fu il primo politico italiano a comprendere le ragioni della modernità, capì il cambiamento prevedendo le conseguenze della stasi del comunismo e del tramonto del cattolicesimo sociale. Ci voleva un partito che dirottasse l’Italia fuori dal duopolio destra sinistra, guardasse ai paesi in via di sviluppo, limitasse il potere della magistratura, con un piglio decisionistico lontano dai compromessi. All’inizio fu appoggiato da molti laici onesti che vedevano in lui un politico forte capace di affrontare di petto i problemi e le posizioni convalidate. Ma per fare ciò occorrevano denari che il Psi non aveva, non potendo come il Pci avere fondi dall’Urss o come la Dc dal Vaticano o dall’imprenditoria, doveva procurarseli sul “campo di battaglia”. Politicamente, il bilancio di Craxi non fu negativo, lui fu credibile a livello internazionale fino all’ultimo, preservò il paese dagli attacchi, era molto intelligente. Purtroppo non si salvò dal delirio di onnipotenza dal quale i politici devono guardarsi, l’ultimo Craxi attenuò la lucida visione degli eventi che aveva un tempo. In ogni caso, il suo Psi era una macchina da guerra, e per forza di cose il condottiero fu circondato da nani, ballerine e sicofanti, in dieci anni di potere assoluto era facile poi perdere la visione della realtà, cosa che non accadde per esempio a Churchill e De Gaulle, uno discendente da una delle più nobili famiglie inglesi e l’altro militare di carriera, che in fondo non avevano bisogno più di tanto del potere». 

Craxi fu un uomo coraggioso anche nelle difficoltà?

«Mostrò coraggio quando alla Camera dei deputati, nel 1992, nel suo intervento disse in pratica che i soldi li avevano presi tutti e occorreva azzerare la situazione per andare avanti. Mi ricorda quando Mussolini nel gennaio 1925 alla Camera si assunse la responsabilità del delitto Matteotti, solo che lui aveva dalla sua parte la Chiesa, il re, e Confindustria, mentre Craxi rimase da solo, gli altri pensarono di far affogare lui per lavare le loro colpe. La sua punizione fu la fuga ad Hammamet come latitante, dove si presentava come il grande esiliato. Napoleone fu vinto, ma non sconfessato, lui da monarca assoluto si ritrovò privato del potere, e morì deluso e abbandonato da tutti. Ad Hammamet però è considerato una specie di eroe nazionale, ci sono pellegrinaggi al ristorante Ben Achour dove andava a mangiare e c’è appeso un suo grande ritratto, e anche alla sua tomba, nel piccolo cimitero cristiano addossato alle mura della medina».

Lei ha visto o vede un erede politico di Craxi?

«Il primo è stato Berlusconi, che però non aveva il suo acume politico e non riuscì a realizzare il suo programma di rivoluzione liberista. Un altro che ci provò fu Renzi, ma in Craxi c’era il politico, in lui soltanto il politicante, abile nelle manovre di corridoio, nei salotti e tra i gruppi di potere, cose che il capo socialista sdegnava non temendo di mostrarsi antipatico. Questa fu la ragione per cui il popolo non lo amò e non lo sostenne, era burbero e arrogante, cinico e realista, suscitava timore ma non simpatia. Poi c’è la Meloni, non l’ho votata ma la trovo simpatica e autorevole, decisionista come lo era Craxi, la sua è la storia della piccola fiammiferaia arrivata a essere capo del Governo, può sdoganarsi e occultare i suoi trascorsi fascisti e oggi è il vero ago della bilancia al Parlamento europeo. Ha gestito con forza e decisione il caso di Cecilia Sala, volando da Trump e parlandogli a quattr’occhi, se al governo ci fosse stato il Pd a quest’ora sarebbero ancora seduti a un tavolo a capire il da farsi. Lei adesso è l’unica statista europea in grado di misurarsi con Trump, purché riesca a far valere le ragioni di Italia ed Europa e non diventi una dei tanti proconsoli di Donald. Come i grandi leader non fa crescere nessuno nel suo partito, e se dovesse compiere un passo falso crollerebbe tutto il castello, per ora non ha scheletri nell’armadio ed è difficilmente attaccabile, il nodo sarà il rapporto con Matteo Salvini, se riuscirà o meno a ridimensionarlo. Ci sono stati dunque due Craxi potenziali che hanno fallito, vedremo ora la terza cosa combinerà».

Mario Chiodetti


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