Inquinamento e Covid: una nuova ricerca condotta dal Centro ricerche in Epidemiologia e Medicina Preventiva (Epimed) dell’Università dell’Insubria ha evidenziato come l’esposizione a miscele di inquinanti atmosferici contribuisca ad aggravare il rischio di infezione, ospedalizzazione e mortalità legate al SARS-CoV-2. Lo studio, pubblicato sul numero di gennaio della rivista scientifica americana Epidemiology, analizza l’intera popolazione adulta residente nella provincia di Varese, ovvero 709.864 adulti, durante il 2020, primo anno della pandemia, ed è basato su dati forniti dall’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia e dall’Agenzia regionale Aria, e dalla società Arianet per la modellizzazione degli inquinanti ambientali.
I ricercatori hanno osservato che nelle aree urbane ogni incremento di 3.5 µg/m³ nell’esposizione media annua al particolato atmosferico (PM) comporta un aumento del 12% nel tasso di infezione da SARS-CoV-2, del 18% nel rischio di ospedalizzazione e del 13% nei ricoveri in terapia intensiva. Lo studio estende il lavoro pubblicato nel 2022 sui residenti nella sola città di Varese, in cui era stato stimato un incremento del 5% nel rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 per ogni incremento di 1 µg/m3 nell’esposizione a particolato atmosferico fine. Infatti, sul territorio esiste un gradiente nord-sud di esposizione ad inquinanti atmosferici e pertanto le stime degli stessi inquinanti per la sola città di Varese non rappresentano le condizioni dell’intera Provincia. «La novità inoltre è l’evidenza, per la prima volta in letteratura, di un effetto combinato tra diversi inquinanti atmosferici nel determinare il rischio di malattie trasmissibili, come il Covid-19» spiega Giovanni Veronesi, professore di statistica medica dell’Insubria e primo autore della ricerca.
Le nuove analisi hanno messo in luce come, nelle aree urbane della provincia, principalmente localizzate tra Saronno, Busto Arsizio e Gallarate, l’interazione tra particolato atmosferico e biossido di azoto (NO₂) abbia prodotto un significativo incremento degli eventi sanitari legati alla pandemia, con un numero stimato di centinaia di infezioni, ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva aggiuntivi rispetto ad aree non urbane. Inoltre, nei contesti con livelli particolarmente alti di particolato atmosferico, l’ozono è emerso come un ulteriore fattore di rischio per la pandemia, contribuendo a un aumento significativo del numero di casi per la popolazione residente.
«La popolazione urbana è più vulnerabile a causa dell’esposizione cronica a una miscela di inquinanti composta da elevati livelli di particolato atmosferico e NO₂ e da basse concentrazioni di ozono. Questo quadro si è dimostrato particolarmente dannoso sia per il rischio di infezione sia per quello di sviluppare forme gravi di malattia, con un conseguente impatto significativo sulle risorse sanitarie» sottolinea Marco Ferrario, professore senior dell’Insubria e co-autore della ricerca. E aggiunge che individuare i territori più a rischio, come il sud della provincia di Varese, rappresenta un elemento cruciale per stabilire le priorità degli interventi volti a ridurre l’esposizione ambientale.
L’impatto di questa ricerca sulle politiche ambientali e sanitarie è rafforzato da un contemporaneo studio condotto dal team Epimed sulla relazione tra inquinamento atmosferico e risposta immunitaria alla vaccinazione contro il Covid-19 nella popolazione anziana di Varese. Questo lavoro, pubblicato su Environmental Research, dimostra una riduzione della risposta immunitaria (misurata attraverso i livelli di immunoglobuline IgG specifiche) e un aumento del rischio di infezione post-vaccinazione associati all’esposizione cronica a PM2.5. Tuttavia, il rischio si riduce significativamente in chi effettua i richiami periodici delle dosi vaccinali raccomandati per la popolazione anziana. «In aree ad alta pressione ambientale, il potenziamento delle campagna vaccinale può rappresentare una strategia efficace per contrastare gli effetti negativi dell’inquinamento sul sistema immunitario, da affiancare a interventi volti a ridurre l’esposizione al particolato atmosferico fine» afferma Francesco Gianfagna, professore di Igiene e sanità pubblica e co-autore dello studio.
La ricerca sulla risposta immunitaria utilizza i dati dello studio RoCAV, una coorte di popolazione generale reclutata tra i residenti nella città di Varese nel 2013-2016, ed indagati nuovamente nel 2021-2022. «Il complesso delle nostre ricerche dimostra che a fini programmatori è essenziale poter complementare i risultati degli studi condotti utilizzando le banche dati amministrative sanitarie con gli studi epidemiologici classici, che tipicamente hanno a disposizione una ricchezza informativa non presente nelle prime. A tal fine, è auspicabile una maggiore possibilità di interconnessione tra le diverse fonti di dati», conclude il professor Veronesi.