Varese - 12 gennaio 2025, 08:30

ASPETTANDO IL FALO' Quanti ricordi ogni anno in quella piazza. I negozianti della Motta: «Per i varesini è un tuffo nel passato»

Aneddoti, amarcord ed emozioni per chi da sempre vive e lavora intorno al Falò di Sant'Antonio, la cui tradizione si rinnoverà anche quest'anno con l'accensione del prossimo 16 gennaio. Nando Lonati (arredo bagno): «In passato la pira era quattro volte più grande e una volta si bruciarono le tende della chiesa. L'edizione più triste? Quella del Covid». Davide Pigionatti dell'omonimo panificio: «Indimenticabile l'edizione 1985, tra fuoco e neve. Si usava la cenere per scaldarsi». Paolo Molteni (strumenti musicali): «Quella volta che sulla pira finì un pianoforte...»

Da sinistra: Paolo Molteni, Nando Lonati e Davide Pigionati nel suo negozio

«Guardo il falò da quando sono nato, abito in piazza della Motta sopra il negozio, vivo la festa in prima persona». Nando Lonati, titolare del negozio di articoli di arredo bagno, racconta la sua sagra di Sant’Antonio, con affetto e qualche imprevisto. «Una volta era diverso, la pira era quattro volte quella di oggi, si bruciava di tutto, il fuoco era immenso e una volta piegò il lampione della luce, un’altra bruciò le tende della chiesa. Un anno i pompieri faticavano a domarlo, così innaffiarono ovunque, comprese le nostre vetrine che, surriscaldate, andarono in frantumi. Allora il falò non veniva spento, il fuoco moriva lentamente, così per riscaldarsi i clochard di Varese dormivano accanto alle ceneri fumanti. Ricordo in particolare uno di loro, soprannominato “ul Fenegrò”, perché probabilmente arrivava dal quel paese del comasco, con una gran barba, che ogni anno dormiva accanto alla brace ancora calda».

Il negozio Lonati partecipa alla lotteria benefica con un articolo da dare in premio: «È ormai una consuetudine. Una volta il primo premio in palio era un maialino vivo, oggi viene dato al vincitore l’equivalente in carne. Peccato che non ci siano più in vendita i “pessitt”, di cui mio padre Giovanni era golosissimo, rimangono le salamelle e lo zucchero filato. Se ne sono andati anche alcuni simboli della festa, su tutti Angelo Monti, una istituzione, poi i monelli Francesco Lucini e Osvaldo Pedetti. Il falò più triste è stato indubbiamente quello del 2020, nel silenzio assoluto per via del covid, e ricordo che in tempo di guerra non era consentito accendere fuochi, ma i Monelli rubarono cassette della frutta e persiane pur di bruciare qualcosa».

Un altro simbolo della festa di Sant’Antonio è il panificio Pigionatti, che affaccia sulla piazza della Motta dagli anni ’40, condotto oggi da Davide Pigionatti, nipote di quell’Antonio Giorgetti legatissimo alla ricorrenza per via del nome di battesimo e dell’affezione per il santo. «Siamo da sempre affezionati a questa sagra, l’ultima rimasta a Varese, è come fare un tuffo nel passato, con la chiesa aperta e tanta gente, anche se i cambiamenti ci sono stati. Noi prepariamo il “pan tranvaj”, chiamato così perché lo acquistavano gli operai che andavano al lavoro in tram, e i panini per le salamelle, poi è consuetudine che il laboratorio e i nostri prodotti siano benedetti dal prevosto. Ai tempi di mio padre Ernesto, mettevamo un tavolo nel portico della nostra casa con pane e vino per tutti. Vendiamo sempre i biglietti per la lotteria, al costo di un euro l’uno. Io metto ancora il bigliettino nella pira e a volte sono invitato dai Monelli a dare una mano nell’accensione del rogo. Il mio falò più bello? Quello dell’85, tra fuoco e neve, indimenticabile!», ricorda Davide.

«Una volta presero fuoco le piante dei Giardini pubblici, un’altra un cavallo portato a benedire imbizzarrì, e scalciando ci ruppe una vetrina. Ricordo che i venditori delle bancarelle raccoglievano la cenere per scaldarsi e molte donne la portavano a casa per fare il bucato. Pochi però pensano a cosa accade dopo che il gran fuoco viene spento. C’è chi infatti lavora tutta la notte: prima arriva una ruspa e carica la cenere in un container, poi chi pulisce la piazza con gli idranti, e poi viene sparso il sale. Sant’Antonio, insomma, non dorme mai», aggiunge la moglie di Davide Pigionatti, Patrizia Cerutti.

C’è anche chi ha avuto esaudito il proprio desiderio di accasarsi, come è successo a Paolo Molteni, titolare dell’omonimo negozio di strumenti musicali: «Ogni anno mettevo nella pira il mio bigliettino, e un anno lo feci assieme a una ragazza, Lucia, che poi diventò la mia fidanzata e quindi mia moglie. Naturalmente ci siamo sposati nella chiesa della Motta. Ho anche un bel ricordo legato alla nostra attività: un anno mettemmo sulla pira un vecchio pianoforte verticale, ovviamente solo le parti in legno, perché un tempo si bruciavano anche mobili, sedie, cassette della frutta, abeti natalizi. Per tanti anni ho portato la fotografia del mio gatto per la benedizione, perché sarebbe stato impossibile convincere l’originale. Anche questa volta mettiamo in palio alla lotteria un nostro articolo musicale e poi non rinuncerei mai al panino con la salamella, non sarebbe Sant’Antonio senza questa bella tradizione».

Paolo Molteni nel suo negozio di strumenti musicali

Nando Lonati, titolare del negozio di arredo bagno di piazza della Motta

Davide Pigionatti all'interno della panetteria

Davide Pigionatti

Mario Chiodetti