Pubblichiamo il testo integrale dell'omelia che monsignor Gabriele Gioia, prevosto di Varese, ha pronunciato ieri, 31 dicembre, durante la celebrazione delle 18 in occasione della messa di fine anno, conclusa col canto del Te Deum nella basilica di San Vittore a Varese. Parole nelle quali il prevosto ha sottolineato l'urgenza sul tema del lavoro e della povertà. Una povertà che, nella società di oggi, riguarda spesso anche il lato spirituale al servizio della Chiesa.
Carissime sorelle e fratelli in Cristo,
ci raduna in quest’ora il desiderio di considerare l’anno che si chiude e ringraziare il Signore per i benefici ricevuti. Personalmente, considero parziale il mio sguardo, perché troppo poco tempo ho trascorso con Voi; ma desidero ringraziare il Signore per il dono di questa comunità cristiana che mi aiuta a celebrare le meraviglie da Lui compiute, e per l’accoglienza cordiale e benevola che ho ricevuto.
Il mio arrivo è stato accompagnato da diversi cambiamenti: mi riferisco ora non soltanto all’avvicendamento col prevosto mio predecessore, il carissimo monsignor Luigi Panighetti, ma anche ad alcune perdite significative. Nei mesi scorsi, ci hanno lasciato perché chiamati alla casa del Padre, monsignor Giovanni Buga e don Giulio Ambrosini, che tanto hanno servito la nostra comunità pastorale, quest’ultimo in particolare con l’indefesso esercizio del ministero della Riconciliazione. Ci hanno lasciato anche le Suore della Riparazione di via Luini e le Suore “Serve di Gesù Cristo” della chiesa di San Giuseppe, dove dagli anni ‘60 del secolo scorso si teneva l’adorazione eucaristica quotidiana.
Queste partenze hanno messo in luce due bisogni fondamentali della vita delle persone, quello materiale e quello spirituale. Le suore della Riparazione hanno provveduto per anni, con l’aiuto di molti volontari e la generosità dei Varesini, alla preparazione e alla distribuzione del pasto serale a tante persone in difficoltà.
Dobbiamo ringraziare il Signore per la prontezza organizzativa della Casa della Carità della Brunella, la fedele disponibilità di tanti volontari e la generosità di numerosi privati e associazioni, se la risposta a questo urgente bisogno non si è interrotta, ma ha trovato nella sede della Brunella una possibilità di continuazione. Sento anche il dovere di ringraziare le Istituzioni pubbliche, dal Prefetto al Sindaco con gli Assessori più direttamente coinvolti, per la collaborazione che non è mai mancata in questa fase delicata di cambiamento.
Certo, Farsi Prossimo, con la Casa della Carità, ha sopperito alla partenza delle Suore della Riparazione di via Luini. Tuttavia, e lo diciamo provocatoriamente, la grande speranza sarebbe in futuro quella di poter “chiudere” la Casa della Carità e la mensa dei poveri, non per un’insensibilità egoistica al bisogno, ma perché la nostra società ha saputo eliminare le cause della povertà, ha annullato le diverse forme di ingiustizia sociale, ha elevato lo spirito solidaristico a criterio guida del suo organizzarsi.
“I poveri li avrete sempre con voi”, dice Gesù nel Vangelo. E la Chiesa sempre deve imparare a chinarsi per accogliere e servire i poveri, le vecchie e nuove forme di povertà, quella materiale e quella spirituale. Ma nell’assolvere a questo suo compito, è chiamata ad essere segno di speranza: la speranza di una società che non si rassegna alla disuguaglianza, di un mondo che combatte le cause della povertà, di un mondo impegnato per dare dignità ad ogni essere umano, di un mondo dove parole come “libertà, uguaglianza, fraternità” diventano esperienza reale per tutti.
Siamo nei primi giorni dell’Anno Giubilare, dedicato alla speranza. È giusto domandarsi: abbiamo ancora la speranza di costruire e vivere in un mondo più giusto?
Questi interrogativi sono ancora più pressanti se consideriamo altri problemi che la difficile situazione economica del nostro territorio lasciano intravvedere e i cui effetti rischiano di aggravarsi nel prossimo futuro. Mi riferisco in particolare ai temi del diritto al lavoro, con le persone che non lo esercitano o lo perdono per la chiusura di importanti attività industriali; e, conseguentemente, al diritto abitativo, con persone e famiglie che non riescono a sostenere i costi per l’affitto di un’abitazione. Non è difficile immaginare i problemi che la non adeguata risposta a questi diritti fondamentali della persona umana porterà alla convivenza civile anche nella nostra città. Il nostro Arcivescovo, nel discorso di Sant’Ambrogio e con il lancio del Fondo Schuster ci sta provocando ad agire con coraggio e creatività per non lasciare inevase queste sfide. Apprendiamo dell’intervento di recupero di Villa Baragiola, da parte dell’amministrazione comunale, con un progetto di housing sociale che prevede la creazione di circa 70 appartamenti concessi in affitto a canone calmierato e questa inizitiva indica una direzione buona, che non va abbandonata ma sostenuta e incrementata.
Anche l’Assemblea Sinodale del decanato di Varese, con la sua lettera-documento Educarci per educare, frutto di un articolato lavoro di riflessione, ci ha proposto seri interrogativi sulla responsabilità educativa di una comunità di “adulti appassionati che riconoscono la responsabilità dell’abitare il proprio territorio, e che hanno a cuore l’umanità propria e delle persone che incontrano”, una comunità dalla quale possano venire per le giovani generazioni ragioni di speranza per guardare al futuro che le attende.
Ma c’è un secondo ordine di bisogno che accompagna la nostra vita ed è quello spirituale.
Continua la diminuzione e l’innalzamento dell’età dei preti a servizio nelle parrocchie della nostra diocesi e il futuro non lascia presagire un’inversione di tendenza. La partenza delle Suore della chiesa di San Giuseppe, con il rischio della chiusura al culto della chiesetta e della sospensione dell’adorazione eucaristica, ha evidenziato, peraltro, che per tante persone della nostra città è ancora viva il bisogno di Dio. Un bisogno meno visibile di quello del cibo materiale, ma altrettanto presente e fondamentale. Tanti uomini e donne, anche nel nostro tempo, si accorgono che per vivere e sperare, c’è bisogno di Dio!
La Chiesa – lo ricorda spesso papa Francesco, così attento ai bisogni dei poveri – non è una onlus, un’organizzazione umanitari, anche se si attiva e sostiene associazioni e organizzazioni sociali. Compito della Chiesa è evangelizzare: permettere, cioè, agli uomini e alle donne di ogni tempo di incontrare Dio e fare esperienza del suo amore.
Azzardo con umiltà una considerazione: forse le comunità cristiane della nostra città sono più pronte e attenzionate a rispondere ai bisogni materiali ma più in difficoltà con quello spirituali, troppo spesso delegati al clero e alle persone consacrate.
La storia ancora recente di una Chiesa ricca di preti, religiosi e religiose, unitamente alla giusta e riconoscente memoria per figure eminenti di pastori del passato, ci può bloccare nel ricordo nostalgico di un passato che non tornerà? Ci può impedire di accogliere le sfide del presente chiamato a dare corpo forme nuove di Chiesa, capaci di annunciare il Vangelo anche agli uomini e alle donne di oggi e di domani?
Io dico: “Coraggio! E libertà…”.
“Coraggio!”, perché il Signore non ha mai abbandonato la sua Chiesa. È sua, non dimentichiamolo, non è nostra. I campanili servivano a richiamare le persone per l’incontro con il Signore, non a segnare perimetri identitari…
“Libertà”, perché l’esaurirsi di forme tradizionali di Chiesa e di parrocchia e l’affacciarsi di forme nuove chiede a tutti i battezzati di non rifugiarsi dietro il “si è sempre fatto così”, ma di aprirsi e collaborare con le novità che lo Spirito del Risorto suscita nella Chiesa per la sua missione evangelizzatrice.
Abbiamo citato l’azione dello Spirito del Risorto. La Vergine Maria, che ci ha donato il Figlio di Dio incarnato, già presente nel cenacolo con gli Apostoli in attesa del dono dello Spirito Santo, aiuti anche noi a vivere una nuova Pentecoste e a rinnovare l’esperienza di una Chiesa che apre le sue porte, senza paura, per donare a tutti la lieta notizia che anche in questi giorni natalizi ancora una volta è risuonata.