Varese | 26 dicembre 2024, 16:19

FOTO Il mio Natale nel silenzio assoluto della Palude Brabbia, rotto solo dalla "risata" del picchio verde. Tra il profumo del bosco e del lago

Il nostro Mario Chiodetti ha trascorso un 25 dicembre diverso tra Palude Brabbia, Inarzo e il porticciolo di Cazzago, immerso nella quiete suprema: solo terra, natura e colori, nessun orpello. Restano negli occhi luci cangianti che scolpiscono le nostre montagne, vestendole come persone, e nell'aria lo spirito di Massimo Soldarini, che alla Lipu ha donato la vita e qui ha lavorato moltissimo per far sì che i ragazzi conoscano queste emozioni e le difendano

Un Natale immerso nella natura, tra Palude Brabbia, Inarzo e il porticciolo di Cazzago, respirando il profumo del bosco e del lago (foto Mario Chiodetti)

Un Natale immerso nella natura, tra Palude Brabbia, Inarzo e il porticciolo di Cazzago, respirando il profumo del bosco e del lago (foto Mario Chiodetti)

Per chi sta solo e per di più è di indole selvatica, il giorno di Natale è sempre un punto interrogativo. Come trascorrerlo? Far finta di niente e trattarlo come un feriale qualsiasi, intrupparsi tra visi sconosciuti e tentare di festeggiare, starsene in casa davanti al magro desco quotidiano - non so cucinare e mangio sempre le stesse cose - aspettando che passi, oppure andare nella natura, camminare, osservare e imparare. Ottima scelta, vado in Palude Brabbia, porto la macchina fotografica e sia quel che sia, la giornata è magnifica, il vento è calato e il Rosa è là in fondo che sorride. 

Un voletto di codibugnoli mi dà il benvenuto a Inarzo, porta della Brabbia e sede della Lipu con la quale feci mille battaglie una quarantina di anni fa. Il mio pensiero va alla memoria di Massimo Soldarini, scomparso da pochissimo, che alla Lipu ha donato la vita e qui ha lavorato moltissimo per far sì che i ragazzi conoscano quanto bene può fare saper distinguere un codirosso da uno svasso piccolo. 

La luce è splendida, il cielo terso, l’aria ha quel bel frizzantino invernale che punge senza far male, qua e là nel sentiero ci sono pozze ghiacciate simili a quadri astratti, il canale Brabbia è in asciutta ma un po’ d’acqua scorre donando ancora il verde alle bordure. Ecco in lontananza la “risata” del picchio verde, mi inoltro verso il primo “chiaro”, lo stagno dove di solito sguazzano le nutrie e qualche airone cenerino sonnecchia tra le canne. È completamente ghiacciato, e il blu riflesso del cielo lo riveste di mille sfumature. Non c’è anima viva in giro, spio le cinciallegre e le cince bigie che vanno a rifornirsi nelle mangiatoie, arriva anche un picchio muratore, il silenzio è assoluto, non passa nemmeno un aereo, cielo e terra, il giallo paglia del canneto e qualche ontano nero che si china verso l’acqua. 

Penso alla forsennata corsa al regalo degli scorsi giorni, alle infinite code di automobili, alla violenza nel mondo, a questa nostra Terra minacciata da chi vuol essere dio, e osservo la sagoma del Campo dei Fiori, alla sua placida maestà, al bene che fa a noi varesini salire alla Madonna del Monte, lì da secoli e segno della devozione di uomini antichi, più vicini di noi alla spiritualità. Entro nella casetta di legno, punto di osservazione di un altro stagno, apro la finestrella e guardo la lastra di ghiaccio mutare colore obbedendo alla luce, mentre le cince banchettano indisturbate inseguendosi tra i rami. Non mi serve nulla, alcun orpello di civiltà vera o falsa, respiro, mi muovo, osservo, immagino, fotografo, insomma son vivo, e con i tempi che corrono è già un grande risultato. 

Passa un falco di palude, dà un’occhiata in basso e poi vira verso il lago, mi suggerisce di seguirlo, Cazzago Brabbia è a un passo, giusto farci un salto. Ma prima mi chino verso la terra e l’accarezzo, e capisco chi ha deciso di ritornarvi, per lavorarla e averla amica come un tempo, abbandonando una vita che ha sempre meno di umano, con i tempi dettati dalle macchine e da falsi profeti di futuro. Lascio Inarzo percorrendo vie che sanno di vecchia Milano, Carlo Porta, perfino Edoardo Ferravilla, creatore del personaggio di Felice Tecoppa e inarrivabile interprete del teatro dialettale meneghino.

Nel porticciolo di Cazzago ritrovo il Monte Rosa, circonfuso da toni di colore che non avrebbero stonato in un quadro di Vittore Grubicy, c’è un pescator di canna solitario e una manciata di persone venute forse qui a smaltire il panettone, due passi e ritorno a casa, magari per la tombola. 

Anche qui calma assoluta, il lago «speggia i mont senza faa on sfriis», e là di fronte c’è Biandronno - con a lato il ciuffo verde dell’Isolino Virginia, bene Unesco dimenticato - il paese della mia giovinezza sul lago, a pescare con papà davanti alla darsena del “Paolon” che ci prestava la barca rifornendoci anche di acqua di fonte cavata dal pozzo del giardino. È trascorso quasi mezzo secolo da quelle pescate ancora fortunate e 90 anni da quando mio padre, ragazzo, beveva l’acqua del lago e guardava dal parapetto della chiesa il muoversi dei pesci. 

Troppi ricordi mordono l’anima, in fondo è Natale e occorre esser felici, così lascio Cazzago mentre una garzetta decolla dal canneto e se ne va verso Bodio, con la luce che incomincia a scemare perché le giornate sono ancora corte e il freddo bussa alla porta. A casa scarico le fotografie, le scelgo e incomincio a buttar giù queste riflessioni, mentre ho ancora nelle narici il profumo buono del bosco e del lago, e negli occhi quelle luci cangianti che scolpiscono le nostre montagne, vestendole come persone. Anche stavolta il 25 dicembre è archiviato, mi sono inventato un altro magheggio per evadere da me stesso e dalla paura del domani, ma so che gli aironi, gli ontani, la fusaggine, il fringuello e la via Ferravilla sono lì ad aspettarmi, magari già per Capodanno.

Mario Chiodetti

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