«Cosa ci rende più felici? Il fatto che questo posto sia diventato un punto di aggregazione, una piazza, la casa di una… famiglia. Perché ci vogliamo bene come una famiglia, litighiamo come una famiglia, ci perdoniamo come una famiglia. C’è un grande attaccamento dei varesini al palaghiaccio: la gente non dice “vado a pattinare”, “vado a nuotare”, “vado in palestra”… Dice “vado al palaghiaccio”».
Potremmo mettere un punto e chiudere già qui: quest’articolo sarebbe lo stesso bello, pieno, soprattutto autentico.
Sarebbe vero.
Potremmo chiudere qui perché le cinque righe precedenti - copyright Paolo Mazzocchi e Luisella Antonini - descrivono compiutamente il misticismo di una delle cattedrali laiche di questa città e la venerazione che una fetta di popolo le ha sempre portato, ancora più oggi, con il filo del passato che è stato unito al presente e ha restituito bellezza, funzionalità e appeal.
Loro, Paolo e Luisella, di questa cattedrale sono i “sacerdoti”. Le loro “ostie”? Una buona birra, gli impagabili panini e piatti dello “chef”, e quella battuta e quel sorriso che sono più di un biglietto da visita.
Oggi Varese dalla vetrina racconta una storia che ha più di trent’anni e nasce lontano da via Albani. La storia di una vocazione, nonostante gli inizi incerti: «Il mio primo giorno di lavoro fu al ristorante Montallegro - racconta Paolo - Consegnavo le bibite al bar, c’era un banchetto dietro l’altro, un matrimonio dietro l’altro, un caos totale… A fine giornata ero stravolto». «Io invece ho iniziato al baretto di Luino, come punizione da parte dei genitori. Ma mi sono innamorata subito di questo lavoro» dice Luisella.
Queste due strade si incontrano anni dopo, a La Cupola della Brunella, che Paolo inizia a gestire nel 1985. Dall’incontro non nasce solo una collaborazione lavorativa: nasce una famiglia. «Ci siamo sposati nel 1994, dopo solo sei mesi di fidanzamento. E abbiamo sempre lavorato insieme. I colleghi a volte ci guardano increduli, della serie “come fate…?". Beh, semplice: quando chiudiamo il bar, a casa non ci portiamo nulla…».
Della Cupola, così come del Madeira, altra tappa di questa parabola di vita, mestiere e amore, è rimasto un imprinting imperituro: il modo di trattare i clienti. «Facciamo di tutto per renderli soddisfatti, per accontentarli sempre nelle loro richieste. Questo non significa che in assoluto non possano mai arrivare dei no: arrivano quando siamo sicuri che davanti a certe richieste non possiamo assicurare i nostri soliti standard».
Uno standard che si è alzato, negli anni, e ha avuto un matching perfetto nello sbarco in via Albani e ancora di più quando il vecchio e naif palaghiaccio ha trasferito tutto il suo spirito e la sua magia nella confortevolezza da terzo millennio dell’Acinque Ice Arena. Lo scriviamo con il senno del dopo, cioè di oggi, ma gli stessi Paolo e Luisella sanno benissimo, e non lo nascondono, che riscommettere su un posto che era rimasto chiuso ben più di un anno e doveva ripartire da zero, avrebbe potuto anche essere un salto nel buio: «Siamo partiti con un punto di domanda: avevamo aspettative sì, ma solo la speranza che venissero mantenute. Oggi possiamo dire di essere soddisfatti: il primo anno è stato frenetico, perché ogni giorno si aggiungeva qualcosa; nel secondo abbiamo “aggiustato”, il terzo sta andando in discesa. I Mastini, con i loro risultati, hanno dato una grossa mano. L’hockey è l’anima di questo posto».
E allora nei “playoff” dei momenti più belli che questa coppia e il loro staff - il fido Lorenzo, Michela, i due Nicolò, Samuele, Marco, Thomas, Eleonora e l’ultimo acquisto Noemi: «abbiamo una squadra per la settimana e un’altra “rinforzata” per i weekend…» - e tutti i “fedeli” hanno vissuto in questo bar con vista privilegiata sul ghiaccio c’è tanto di uno sport nobile e della passione per il giallonero: «Nei primi posti mettiamo sicuramente la prima partita in casa dei Mastini, contro il Dobbiaco: un macello, un delirio, eravamo solo noi due e Lorenzo a gestirlo. C’era una fiumana di persone che entrava e usciva e noi che ci chiedevamo come fare… Il tutto a pochi giorni dal giorno zero, quello di apertura, con la gente che aveva riempito il locale quando ancora non avevamo nemmeno iniziato, la coda usciva dalla porta e a fine serata avevamo esaurito le scorte di birra…».
E ancora: «Non possono mancare i festeggiamenti per la Coppa Italia 2023 e per il titolo di IHL dello stesso anno. Abbiamo ancora dei fotogrammi indelebili: “Odo” (Odoni ndr) a torso nudo che prepara i panini e le focacce per tutti, Marcello (Borghi) sdraiato sullo sgabello a fare cassa, inventandosi ogni prezzo, e Pietro (sempre Borghi) che si rubava le bottiglie». Oppure «indimenticabile, ancora prima, nel primo palaghiaccio, fu quando i Mastini di Da Rin persero contro l’allora fortissimo Appiano i quarti di finale playoff ma festeggiarono qui fino a orari inenarrabili. Perché? Perché quel giorno, nonostante l’insuccesso, tutti avevamo capito che il Varese avrebbe potuto tornare negli anni successivi il “vero” Varese».
Dall’hockey agli hockeisti: «Siamo affezionati a tutti, anche agli avversari, tranne che ai Buono… Perché il bello di questo sport è che è ruvido e duro, ma dopo ci si ritrova tutti insieme, a fine partita. E infatti, tra i complimenti cui siamo più affezionati, ci sono quelli che ci sono arrivati dall’esterno, dai giocatori del Pergine e del Como, che si sono fermati qui a mangiare. O dalla Petra del Val di Fiemme, che dice che la miglior lasagna l’ha mangiata a Varese, da noi».
Sì, ma i Mastini? «Difficile fare differenze: per noi sono tutti unici. Perna è uno di quelli che hanno lasciato il segno, poi Perla, Franchini che conosciamo da una vita, il serbo Ilic, Edo (Raimondi ndr) a cui non sappiamo dire di no, Pizzo che è Pizzo («Lui che arriva e si fa offrire il caffè da chiunque ci sia al bancone è un’immagine che rimane nel cuore…»), Marcello e le sue goleador alla strawberry, Micheal (Mazzacane) e il suo caffé macchiato caldo, Da Rin e il suo cappuccio».
E pensare che tutto questo trasporto è più anima che sport… «Da quando siamo qui non siamo mai riusciti a vedere una partita: le viviamo con i boati dei tifosi e con sguardi fugaci al vetro e al tabellone. Però c’eravamo a Cortina (finale di Supercoppa 2023) ed è stato da pelle d’oca: Vanetti e compagni hanno dato tutto in quella gara, contro un’avversaria molto più forte. Come li vediamo quest’anno? Abbastanza bene: all’inizio c’è stato un cambio netto, e come a tutti i cambi ci si è dovuti adattare. Ora sono concentrati, presenti fisicamente, diversi… Il sogno sarebbe quello di “rismontare” questo bar come accaduto due anni fa… C’è anche lo spazio per qualche nuovo “poster”…».
Lo speriamo tutti, ca va sans dire. Ma non dovesse succedere non ci dispereremo… perché avremo sempre il sorriso di Paolo e Luisella a cui appoggiarci e perché un panino di quelli giusti o un piatto di stinco con patate, un ossobuco con il risotto, un arrosto con patate, una lasagna o una trippa («Su prenotazione facciamo qualsiasi ricetta…») per “compensare” li troveremo sempre… «Qui non si morirà mai, né di fame, né di sete…».