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Territorio | 11 dicembre 2024, 09:28

Fiammetta Borsellino incontra Gavirate: «Mio padre mi ha insegnato senso del dovere e onestà. E' il messaggio che ci deve restare»

Serata molto partecipata quella di martedì all'Auditorium dove la figlia del magistrato ucciso dalla mafia nella strage di via d'Amelio del 19 luglio 1992 ha raccontano la figura pubblica e privata del padre e risposto alle domande dei tanti studenti presenti: «Mio papà ha agito per consegnare alle future generazioni un Paese migliore, la mafia purtroppo vive ancora oggi tra noi, anche nel Nord Italia»

Fiammetta Borsellino incontra Gavirate: «Mio padre mi ha insegnato senso del dovere e onestà. E' il messaggio che ci deve restare»

Martedì sera, 10 dicembre, a Gavirate si è tenuto all'Auditorium un incontro pubblico con Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato siciliano Paolo Borsellino, ucciso in un attentato mafioso a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio 1992.

La storia personale di Fiammetta e della sua famiglia, dopo quel giorno, è entrata a fare parte della nostra storia italiana. La serata è stata densa, ricca di argomenti importanti e molto profondi riguardo magistratura, le istituzioni, la mafia e l’importanza della giustizia e della legalità. 

Durante l’incontro, Fiammetta Borsellino ha raccontato ad una platea gremita e partecipe diversi aspetti della vita con suo padre, di quei 57 giorni intercorsi tra la strage di Capaci, in cui morì Giovanni Falcone, e la data dell’attentato al magistrato Borsellino, di fatti pubblici e personali. 

«Io e i miei fratelli abbiamo avuto la fortuna di vivere l’adolescenza accanto ad un padre impegnato in una lotta per tutto il popolo italiano - ha raccontato Fiammetta. Svolgeva il suo lavoro con una umanità pazzesca e ci ha sempre coinvolti tutti nel suo lavoro, cercando di fare uscire il bene anche dai peggiori criminali e insegnandoci l’amore. Mio padre ha agito per consegnare alle future generazioni un Paese migliore, libero dal predominio della mafia. Il suo lavoro di magistrato era accompagnato da un fortissimo impegno civile con i ragazzi e nelle scuole, per parlare loro di morte, di droghe e di quei “piccioli”, quel denaro impregnato di sangue e criminalità».

La figlia del magistrato siciliano ha poi ricordato attimi di vita quotidiana e quel sentimento di paura di cui Paolo Borsellino era ben consapevole: «Per il suo lavoro mio padre fece molte rinunce: rinunciò alla sua macchina, a poter girare libero, a poter uscire con mia mamma. La paura in quegli anni era grande, dopo l’attentato a Falcone mio padre era consapevole del suo destino, una volta si definì “un morto che cammina”, tanto che quando gli dissi che sarei andata in una missione in Africa mi disse “Ma dove vai, se mi uccidono come fanno ad avvisarti?”. Nonostante la paura, penso abbia sempre vissuto una vita serena perché era a posto con la sua coscienza».

«Malgrado tutto - ha proseguito Fiammetta - mio padre non ha mai voluto rinunciare alla sua libertà, ha sempre cercato il modo per trovare del tempo per sé, per sfuggire alla sua scorta e fare passeggiate, visitare il centro storico o i suoi negozi preferiti. Amava molto anche il mare, ci portava tutti sulla sua piccola barca all’avventura fra le onde. In famiglia è sempre stato molto presente. Ci ha lasciato tutta la sua forza, dandoci modo di trasformare tutto il dolore in una condivisione costruttiva con il resto del mondo”. 

La Borsellino si addentra anche nell’indagine condotta sulla morte del padre e chiusa solo pochi anni fa: «Nel 2017, la sentenza conclusiva del processo ha evidenziato una serie di gravissime anomalie e omissioni che hanno enormemente offeso l’intelligenza del popolo italiano attraverso un lavoro fatto male e tutto questo ha determinato la mia volontà di denunciare quanto accaduto. Nessuno voleva parlare di questo gigantesco errore e io ho ritenuto si dovesse rompere il muro di omertà. Un percorso deviato da chi invece la verità avrebbe dovuto perseguirla e preservarla per ricostruire l’evento. Se ciascuno avesse fatto bene il proprio dovere, probabilmente la famosa agenda rossa così come tanti altri elementi e prove non sarebbero spariti o andati inquinati. Da lì capii che quello che doveva essere fatto per perseguire la verità non era stato fatto a causa di una grave mancanza di collaborazione, in primis delle istituzioni. Il mio ringraziamento va a quelle procure che hanno lavorato bene e che hanno permesso di arrivare oggi a parlare di uno dei più grandi depistaggi della storia italiana. Grazie anche alla collaborazione di alcuni uomini di Cosa Nostra, siamo più vicini alla verità, sono state scarcerate alcune persone che erano invece innocenti, riuscendo a chiudere qualcuno dei buchi neri che aleggiano su questa indagine. La mafia ancora oggi vive tra noi, basti pensare alla droga, a tutto il denaro che viene ripulito nelle regioni più industrializzate e più floride anche al nord Italia. Mio padre, proprio nei giorni prima della morte, stava lavorando al dossier “Mafia appalti”, aveva capito forse che cercando di limitare l’espansione della mafia nelle imprese si sarebbe potuta fermare tutta l’organizzazione». 

Presenti all’incontro moltissimi studenti della scuola secondaria “Stein” di Gavirate che hanno posto diverse domande a Fiammetta.

Ecco le domande e le risposte:

Secondo lei il mosaico del sistema giudiziario in Italia è ancora carente oppure si sta rinforzando? 

È un tema molto tecnico e complesso, il modello italiano e sicuramente un modello vincente anche grazie al metodo acquisito con la lotta alla mafia, sebbene ancora sia sicuramente da migliorare. Nel processo sulla morte di mio padre sono state moltissime le mancanze, sia sulle indagine che a livello di magistratura. È mancata la ricerca di veridicità delle prove, la verifica delle deposizioni di chi si autoaccusava di essere colpevole e poi si smentiva non conoscendo dettagli fondamentali e molto altro. 

Quale ruolo ritiene che debba avere la memoria nella lotta contro la mafia soprattutto nelle scuole? 

Negli anni immediatamente successivi alle stragi del ‘92 era un argomento forte e di cui si parlava molto di più. Per la mia esperienza personale però, ogni giorno ricevo migliaia di richieste da parte di scuole e istituzioni per condividere la mia storia, credo quindi che qualche effetto ci sia stato. Bisogna coltivare quotidianamente la memoria, le radici dei valori di giustizia, pace, legalità vanno innaffiate e nutrite come le radici di una pianta per far sì che avvengano azioni concrete. La memoria è fatta di atti concreti ed è un lavoro di squadra, una pratica quotidiana che deve essere fatta sia nelle scuole che in famiglia. 

Dopo la strage di Capaci, suo padre era conscio che fosse arrivata anche la sua ora. Come si è comportato in famiglia? 

In quei 57 giorni mio padre Paolo è stato impegnato in una estenuante attività di indagine e ricerca sull’accaduto, sebbene non abbia mai avuto la delega ufficiale, abbandonato dalle istituzioni. Nell’ultimo incontro che fece nel giugno del ‘92 disse di aver scoperto dettagli molto importanti ma la procura di Caltanissetta non lo volle mai ascoltare. Furono settimane molto piene di tanti eventi importanti.

E poi Fiammetta Borsellino conclude con parole di grande amore e ammirazione nei confronti del padre: «Ho avuto la fortuna di vivere degli anni pieni durante la mia adolescenza, a fianco di un uomo, un padre che mi ha insegnato grandi valori che ho poi coltivato durante tutta la mia vita. Mi ha insegnato a fare il mio dovere con umiltà e onestà, sempre. Questo è il messaggio che ci deve restare».

Ilaria Allegra Vanoli

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