Sessanta punti segnati in 40 minuti, ovvero la morte del Moreyball come bandiera concettuale da sventolare davanti a un’oggettività che oggi dice praticamente questo (lo riassumiamo va…): Varese è una squadra imbarazzante anche in attacco.
Ennesima prova difensiva zeppa di errori. L’intensità va e viene, ma soprattutto va, gli errori di concetto si sprecano, come se non ci fossero alle spalle quattro mesi pieni di allenamenti, come se i giocatori si fossero conosciuti stasera al campetto e avessero deciso di fare una partitella insieme. Il resto lo fanno le “regole” scritte dalla religione che il team biancorosso è costretto dall’alto a professare da 3 anni a questa parte: zero zona, pochi adeguamenti, scarsa fisicità.
Giocatori poveri di talento e per giunta usati male. Dei palleggi fuori luogo di Hands ormai son pieni i cahier de doléances di tifosi e critica: dovrebbe esser lì solo a tirare, invece pastura il pallone in un rapporto d’amore non ricambiato. Ma avremmo qualcosa da dire anche di Kao, uno dei giocatori più poveri di tecnica che siano mai passati da questi (ex) gloriosi lidi (pensate che qualcuno in società quest’estate si rammaricava di non avergli fatto firmare un pluriennale…). Una sola cosa sa fare: giocare ad altezze non umane. Bene: il nostro non vede un pallone alto, non uno.
E nemmeno con Tyus cambia la solfa: non chiediamo di fargli vedere una palla in post (chi la invocasse nello staff tecnico rischierebbe il licenziamento in tronco…), ma fatto è che il nuovo giocatore è completamente inattivo in attacco. Non un gioco in movimento che lo coinvolga viene finalizzato, non uno scarico fatto bene per il dunker spot si vede, nemmeno i blocchi gli vengono fatti fare (Varese, signori, fa gli slip…).
E ancora…
Cinque timeout chiamati nel corso della “tragedia” salvezza (chiamarla sfida ci pare ingeneroso per la Vanoli, squadra umile ma vera…) di Cremona, e un ruolino in uscita che farebbe impallidire anche un allenatore del CSI: quattro palle perse e un tiraccio. I giocatori non ascoltano, o non sono capaci, o non capiscono, o giocano contro. Ma cosa aspettarsi da una squadra che non riesce a imporsi contro chicchessia, che si adegua al gioco di tutti, che è vittima sacrificale di qualunque filosofia contraria oltre che della propria?
E no: oggi, in questo sprofondo, pure quella realtà di fatto che nelle dichiarazioni varesine è così abusata da essere diventata una scusa può reggere. Scriviamo del budget. Perché Cremona, il budget, lo ha più basso di Varese.
Eppure ha capito il pericolo, ha lottato, ha vinto.
Contro una squadra vuota, impalpabile, ancora più senz’anima che scarsa.
Se il campionato di Serie A finisse oggi, la Pallacanestro Varese sarebbe retrocessa in Serie A2. E non ci sarebbe nulla di sbagliato: con Napoli, la Openjobmetis è la peggiore del lotto.
Dopo un match come quello del PalaRadi (e avremmo potuto continuare per righe a descrivere le malefatte biancorosse…), dopo uno scontro così importante nemmeno giocato, con una classifica che fa tremare, frutto di solo due vittorie su 10 partite, in qualunque parte del mondo e in qualunque società del mondo l’allenatore verrebbe messo automaticamente in discussione. Senza se e senza ma.
Ma Varese, da tre anni, non è più una società "normale".
Scommettiamo che a Masnago e dintorni non accadrà nulla, nemmeno stavolta? E poi, pensiamoci bene: che senso avrebbe cambiare Herman Mandole per mettere in panchina un altro professionista di una qualunque parte del mondo e legargli le mani - come accaduto a Brase, a Bialaszewski e ora all’argentino - obbligandolo a fare il proprio lavoro senza poter stravolgere (nemmeno davanti ai fatti concludenti) una filosofia di gioco che qui viene intesa non per quello che è - una possibilità per certi versi nemmeno malvagia - ma come un dogma?
Ne abbiamo passati tanti negli ultimi 30 anni di momenti così sotto al Sacro Monte, non facciamo finta di niente. Ma stavolta è diverso: qui o si prende un allenatore a cui viene data carta bianca, oppure non cambia nulla.
Negli ultimi giorni abbiamo letto diverse volte tra i commenti dei tifosi una frase che suonava più o meno così: “Il credito di Luis Scola sta finendo”. E ogni volta che abbiamo ragionato sul suo significato ci è venuto da ridere… Ma quale credito? Lo capiamo o no che qui si parla di pallacanestro? Lo capiamo che tutto l’ambiente sarà sempre in enorme ed eterno debito nei confronti di chiunque spenda il proprio tempo e il proprio denaro per quella che per tutti noi non è altro che una semplice passione?
Fuori da questa logica possessiva e distorta, però, il concetto da sottolineare è uno solo: questa situazione ha un primo ed inequivocabile responsabile. E si chiama proprio Luis Scola.
Due anni di risultati ampiamente sotto le aspettative. Due sessioni di mercato completamente sbagliate. Dirigenti a digiuno di pallacanestro europea e italiana messi lì a commettere un errore dietro l’altro. Allenatori senza potere mandati allo sbaraglio, pensando che basti un’idea per affrontare la realtà, pensando di giocare in Burundi forse, e non Italia e in un campionato difficile.
Nel quale invece serve esperienza. E rispetto delle regole del gioco. E non squadre costruite monche solo per andar dietro a un credo che, a conti fatti, sta diventando più importante di Varese stessa.
Questo è gravissimo.
La macchina sta andando in un fosso: non è arrivato il momento di sterzare?
L’immagine mediatica che abbiamo oggi di Luis Scola, invece, è di un Generale silenzioso.
E avulso dalla realtà.