«Questa mattina, al suo funerale, eravamo una dozzina di compagni. Forse di più». Gianluigi Testa, una lunga storia nell’Antoniana come giocatore, allenatore e presidente, parte da questo per dare l’idea del segno che Vanni Gallazzi, classe 1953, appena scomparso, ha lasciato nella società e nel ricordo di quanti hanno militato con lui. Se a distanza di tanto tempo ci si ritrova così numerosi, per semplice passaparola, la traccia c’è ed è profonda. «Ho giocato per anni con lui. Posso assicurare che era un attaccante fortissimo. In campo era capace di esprimere tante cose, si capiva in fretta che aveva dei numeri fuori dall’ordinario».
I “feudi” di massima popolarità erano quelli in cui aveva vestito la maglia delle formazioni locali. Ovviamente l’Antoniana, prima ancora l’oratorio San Luigi, parrocchia di San Giovanni (l’ultimo saluto è stato proprio in basilica) nell’epoca in cui i campi parrocchiali erano quasi immancabilmente palestre, teatro di scontri epici e derby infuocati, stadi in miniatura. «Lui – riprende Testa – lo si notava. Anche nei tornei serali più seguiti, allora a Sacconago e all’oratorio San Filippo».
Oltre ai “piedi buoni”, è la personalità di Vanni Gallazzi a essere rimasta impressa: «Aveva un carattere particolare, non omologato e non omologabile. Era una persona fuori dagli schemi». Un aneddoto, per capire: «Con l’Antoniana, avremo avuto 17 anni o giù di lì, andammo a giocare in trasferta, ad Angera. Finì quattro a zero per noi, quattro gol del Vanni. C’era un osservatore del Varese che, all’epoca, era in Serie A. Gli propose di fare un provino per andare da loro. Un’occasione d’oro. Lui rispose di no, disse che stava bene dov’era. Era fatto così. Continuò a segnare per noi».