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Varese dalla vetrina | 19 novembre 2024, 07:18

VARESE DALLA VETRINA/33. Lara e il "Montorfano", la tradizione continua al Sacro Monte: «Qui d'estate il turismo è forte, ma il Borgo non va dimenticato»

In cima all'ultima salita delle Cappelle, con un'impagabile terrazza vista mondo, il ristorante è uno degli ultimi baluardi della cucina tradizionale lombarda, oggi portata avanti da Lara Tedeschi. La sua storia non è solo quella di un locale che tutti i varesini conoscono, ma anche un pezzo di storia della città

A sinistra Lara Tedeschi e a destra l'aiutante di sala Carlotta

A sinistra Lara Tedeschi e a destra l'aiutante di sala Carlotta

Il Ristorante Montorfano sta proprio lì, in cima all’ultima salita del Viale delle Cappelle, quando il fiato è un po’ corto e il miraggio di un buon piatto caldo regala le ultime energie per terminare in gloria la camminata.

È un pezzo di storia del Sacro Monte, perché in quell’edificio rettangolare, con una impagabile terrazza vista mondo, Davide Bregonzio proponeva ai clienti il suo straordinario Elixir del Borducan, prima di trasferire la sua attività nel centro del borgo dove è tuttora. Oggi il Montorfano è uno degli ultimi baluardi della cucina tradizionale lombarda, con piatti che i nonni cucinavano in casa, magari per un compleanno o per una ricorrenza, e in tempi di fast food sono diventati rari come il Gronchi rosa. 

A portare avanti la tradizione di famiglia c’è Lara Tedeschi, nipote di quel Carlo che nell’ottobre 1965 acquistò il locale da Maria Montorfano, facendolo diventare un riferimento della varesinità, per la bontà della cucina e per l’accoglienza familiare riservata agli ospiti. Ai primi del ‘900, il Ristorante Caffetteria Montorfano era un luogo di ritrovo per i villeggianti milanesi, che in estate sciamavano dalla città alle ville di vacanza e amavano gustare la “Barbajada”, inventata dall’impresario teatrale Domenico Barbaja e ormai quasi dimenticata, ma non qui, poiché la ricetta è stata ripresa dallo chef.

«I miei nonni, Carlo e Maria, gestirono il locale fino alla loro scomparsa, poi dal 1977 subentrò mio padre Raffaele, che diede nuovo impulso al ristorante, prima di darlo in gestione dal 2006 al 2013. Dopo la sua morte volli riaprire, e lo feci proprio per la Festa del Papà del 2014, per dare continuità al suo lavoro, senza stravolgere niente e mantenendo una cucina tradizionale», spiega Lara Tedeschi.

«Il nostro è un locale semplice, proponiamo la cucina del territorio, la polenta con l’ossobuco, con zola e porcini, cinghiale e porcini o con tomino e speck, la trippa, i pizzoccheri, le pappardelle al cinghiale e porcini e il brasato o lo stinco. Seguiamo le stagioni, adesso è il periodo della zucca e prepariamo le lasagne e il flan, poi gli gnocchi con le castagne e crema di taleggio, mentre in estate abbiamo lasagne classiche, molto appezzate dai turisti stranieri e la cotoletta alla milanese. Il bollito lo serviamo in serate dedicate, mentre i risotti li prepariamo per i gruppi numerosi. Va molto anche lo gnocco fritto, servito come antipasto. Facciamo noi anche biscotti e torte, adesso è il momento della cheesecake alle castagne».

Lara è l’anima del locale, aiutata da nove anni da Carlotta, che lavora in sala, mentre da luglio è arrivato Alessandro, il nuovo cuoco, aiutato tra i fornelli da Byron. «Poi abbiamo personale a chiamata, ma qui incominciano le note dolenti. È difficile lavorare con i giovani, spesso sono svogliati e non vogliono imparare il mestiere, arricciano il naso quando devono impegnarsi anche sabato e domenica e non hanno manualità. Una volta una cameriera ha risposto al cellulare mentre stava servendo la torta, altre volte chi serve ai tavoli non capisce le comande e fa confusione con le ordinazioni. Se non avessi Carlotta con me avrei già chiuso», aggiunge amareggiata Lara, che ha due figli, Sabrina, di 22 anni, studentessa di psicologia a Padova «che mi ha aiutato molto alla riapertura del ristorante», e Roberto, 18, all’ultimo anno del liceo scientifico, «che purtroppo non si è mai avvicinato nemmeno al bancone del bar».

La principale attrazione del Montorfano, oltre all’ottima cucina, è naturalmente la terrazza, aperta tutto l’anno e ampliata dai nonni e presa d’assalto in estate per il magnifico panorama che si gode, e la delizia di pranzare con la vista delle montagne, della città di Varese e del Viale delle Cappelle. 

«In estate il turismo è forte, molti ci fanno domande sulla storia del locale e del Sacro Monte e passano magari soltanto per un tè o una bibita. Un tempo durante la settimana arrivavano più varesini, adesso c’è una maggiore varietà. Tra gli ospiti illustri c’erano Dino Meneghin, amico di papà, poi di recente Bob Morse, Filippa Lagerback e la sorella di Chiara Ferragni, Francesca. Finiamo con il ristorante verso le 15,30, poi “diventiamo” caffetteria fino alle 19, specializzati in tè, cioccolate e torte, cantucci e biscotti. In inverno però non tengo aperto la sera».

Lara Tedeschi, seduta nella sala interna davanti a un grande quadro di Lucenz, nome d’arte di Enzo Lucchetti, che il pittore dipinse lì nel 1993, racconta anche del poco rispetto che certi clienti hanno a volte verso il lavoro del personale: «Oggi domina l’impazienza, tutti vogliono essere serviti in fretta, oppure capita che con il locale pieno e il bar chiuso -lo facciamo per forza quando serviamo in tavola perché siamo pochi e non riusciremmo a gestire ristorante e caffetteria- qualcuno alzi la voce pretendendo un caffè nonostante sulla porta un cartello avverta dei turni di chiusura. La nostra sala non è grande, così preferisco non accettare i cani all’interno del ristorante, ma non tutti i proprietari lo capiscono e a volte se ne vanno. C’è poco rispetto per le persone e il lavoro altrui».

Anche sulla realtà sacromontina, Lara Tedeschi avanza qualche critica: «Si parla sempre in grande del Sacro Monte in periodo elettorale, poi silenzio totale, tutto ritorna come prima. Mancano i parcheggi, la funicolare non si sa mai quando va e quando è ferma, la strada per salire spesso è in disordine, con buche e sassi, e la sera dopo una certa ora non ci sono i mezzi per tornare in città, un guaio per il personale più giovane non auto munito. Poi le troppe multe per divieto di sosta, che vengono a dare anche quando le persone salgono per le messe o il rosario».

Nonostante il novembre, la terrazza ha anche oggi i suoi ospiti, seduti davanti a un vin brulé a rimirare il grande teatro montano e la pianura ammantata di foschia, e il ristorante “vedetta dell’Insubria” mantiene la sua fama anche in autunno avanzato, regalando a chi ama una sorsata di felicità.

Mario Chiodetti

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