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Opinioni | 16 novembre 2024, 08:17

Tre fratelli e la vittoria più bella: rimettere a nuovo il campetto di calcio del loro rione

Passata sotto silenzio una notizia che racconta il calcio vero. Un percorso di successo per tre calciatori, bravi a non dimenticare le loro radici

Tre fratelli e la vittoria più bella: rimettere a nuovo il campetto di calcio del loro rione

E' passata sotto silenzio una bella notizia di sport. L'hanno evidenziata solo le cronache locali mentre avrebbe dovuto avere una risonanza più ampia, ma fra Sinner, la Nazionale e qualche polemica strumentale dell'allenatore Conte del Napoli, nessuno si è accorto della bellezza dello sport. I fratelli Salvatore, Sebastiano e Francesco Pio Esposito a loro spese hanno rimesso a nuovo il campetto di calcio del rione Cicerone di Castellamare di Stabia. Da lì sono partiti per arrivare a giocare nel calcio professionistico. Tutti e tre hanno in comune la crescita nel vivaio dell'Inter ed ora Salvatore (25) gioca nello Spezia in serie B assieme al fratello più piccolo Francesco Pio (19) mentre Sebastiano (22) è in forza all'Empoli in seria A. Un gran bel percorso, solo però ai primi chilometri.

Bravi a non dimenticare le loro radici, quel campetto molto malmesso per loro era una ferita che andava suturata. I primi rudimenti del pallone li hanno conosciuti lì e lì hanno voluto che il tempo non si fermasse. Coi loro guadagni hanno provveduto a rimetterlo a nuovo così da farla diventare nuovamente una struttura fruibile dai bambini e dai ragazzi del quartiere nella speranza e l'augurio che qualcuno di questi possa seguire il solco che loro hanno tracciato. Se Salvatore ha ormai consolidato la sua carriera, per Sebastiano e Franesco Pio, ancora nell'orbita Inter, il cammino è appena cominciato.

I primi passi o primi calci sono sono avvenuti proprio su un campetto dove è possibile dare sfogo alla propria inventiva, dove è concesso dribblare, dove è permesso dare cittadinanza alla fantasia, dove s'impare ad avere confidenza con il pallone. E' in questi luoghi e spazi, magari anche angusti e all'apparenza anonimi che si riconosce il talento e “se oggi non ne vediamo granché in giro  è perché non ci sono più i campetti, quelli dell'oratorio”, ha sentenziato, qualche tempo fa, il grande Dino Zoff. In un'intervista che feci ad Osvaldo Bagnoli nel maggio 2008 per la Provincia di Varese mi disse che aveva “imparato a giocare a pallone a piedi nudi sulle strade della Bovisa perché all'epoca se ne aveva solo un paio e quando misi i primi scarpini per giocare nel Como i miei piedi avevano una straordinaria sensibilità”.

Quanti, dei giocatori che si sono affermati, sono usciti dagli oratori con il prete nella doppia veste del talent scout e del procuratore a costo zero raccomandando il proprio ragazzo a qualcuno che contava e raccomandandosi magari al proprio Padrone perché il ragazzo facesse strada. Gigi Meroni e Giacinto Facchetti per citare solo due nomi.

La selezione era naturale. Lì imparavi a scartare e l'unico termine inglese che conoscevi era dialetticamente tradotto in “ezi”(il fallo di mano) che correttamente sarebbe hand.

La diagonale che conoscevi era base per altezza diviso due e non una disposizione tattica difensiva; i genitori non protestavano con il prete perché non giocavi come oggi se la prendono con l'allenatore della scuola calcio perché paghi e quindi pretendi. Se non eri della partita era perché non eri buono anche se, nelle partite improvvisate e si era magari dispari, giocavi lo stesso come “regalino” perché all'oratorio nessuno è mai rimasto indietro.

I genitori venivano invece all'oratorio per trascinarti a casa con maniere anche brusche per fare i compiti dopo ore a calciare un pallone e quando gli amici ti venivano a chiamare per giocare ti sentivi importante. Valevi. Bastava anche un campetto, un piccolo spazio con quattro sassi a fare i pali delle porte e le traverse immaginarie. Ti divertirvi ed imparavi a giocare a pallone.

Non avevamo niente. Avevamo tutto: la serenità.

Giovanni Toia

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