Come nella vita anche nel calcio le storie sono scritte dalle persone. Sono composte da gesta e da gesti anche piccoli, all'apparenza semplici, ma di grande spessore che il corso del tempo andrà ad impreziosire. E non è detto che riguardino solo la sfera tecnica con le sue prodezze, le rovesciate acrobatiche o i gol spettacolari che vanno a togliere “le ragnatele” nel sette della porta avversaria. Anzi sono i gesti che non finiscono negli almanacchi del calcio, ma restano dentro alle persone, ai calciatori e il più delle volte sono le parole o i silenzi del tuo capitano che sa leggere e comprendere i momenti del compagno, quelli che possono indirizzare una partita e pure una carriera. Come ben si percepisce dalle parole di Gianfelice Facchetti.
“Ai mondiali del '66 in Inghilterra mio padre venne convocato dal commissario tecnico Edmondo Fabbri e di quella Inter che vinse tutto quello che c'era da vincere il ct lasciò a casa, un po' a sorpresa, Armando Picchi. Il quale comunque ci andò come inviato del quotidiano “Il Telegrafo”, un giornale di Livorno. Dopo l'inaspettata sconfitta con la Corea con il gol di un dentista(Pak Doo Ik) i giocatori erano tutti abbattuti. Mi raccontò mio padre che ricevette la visita in camera di Picchi, era il suo capitano all'Inter, lo confortò e gli disse che c'era comunque un dopo Corea. Nel novembre di quello stesso anno l'Italia giocò a San Siro con la Russia e la batté per uno a zero ed la prima volta nella sua storia. Mio padre indossò per la prima volta la fascia di capitano della Nazionale e la tenne fino al 1978”.
E' il racconto di Gianfelice Facchetti, figlio del grande Giacinto, che lunedì sera ha presentato il suo libro “Capitani” nella sala consiliare di Villa Cortese. Una serata ben condotta dal moderatore Angelo Crespi che ha visto una vasta partecipazione di pubblico. Una serata per gli amanti del pallone che sanno appassionarsi alle sue storie e Gianfelice Facchetti ne racconta diverse nel suo lavoro. “Capitani che ho avuto modo di conoscere come Paolo Maldini oppure capitani dei quali ho potuto apprezzare il loro valore calcistico ed il loro spessore umano. Nel 1989 – racconta – giocavo come portiere nelle giovanili dell'Atalanta ed io fui il portabandiera ai funerali di Gaetano che era morto in Polonia in un incidente stradale. Quell'esperienza dolorosa mi ha fatto capire molto del giocatore della Juventus e della Nazionale”.
Sono diverse le figure e gli aneddoti raccontati da Gianfelice a cominciare dal primo capitano della Nazionale Francesco Calì passando per Valentino Mazzola “al quale sono molto legato anche perché era di Cassano D'Adda il paese dove noi Facchetti abitavamo”. Capitani italiani che hanno saputo dare un'identità alla propria squadra come Totti, Del Piero, Baresi, ma anche capitani di squadre straniere o capitani di fatto come lo è stato Gigi Riva in quel Cagliari la cui fascia era portata da Gianluigi Cera.
Un libro da leggere per chi vuole disintossicarsi del calcio business di oggi, delle urla belluine dei moderni telecronisti, delle sceneggiate da osteria sulle tv private o di pseudo professori che vogliono ridurre il calcio a schemi, formule ed anche a stucchevoli statistiche nel tentativo di togliere l'imprevedibilità al pallone. Che mai scomparirà perché il pallone è fatto di persone e dietro a un gol o ad una grande parata c'è un qualcosa che nessuna telecamera e nessun Var riuscirà mai ad inquadrare e a trovare: la parola vera del tuo capitano.
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