Territorio - 04 novembre 2024, 10:37

Brenta, il discorso del sindaco per il IV Novembre: «La guerra non nasce da sola»

Gianpietro Ballardin ha guidato il corteo della ricorrenza che si è svolta domenica: «Ogni nome di soldato caduto e di una vittima civile uccisa racconta un frammento della nostra storia»

Il corteo del IV Novembre a Brenta

Si è svolta domenica anche a Brenta la cerimonia del IV Novembre con il corteo e il discorso del sindaco Gianpietro Ballardin che riportiamo di seguito:

«La ricorrenza del 4 Novembre continua a ricordarci il definitivo compimento del sogno risorgimentale dell’Unità nazionale e del prezzo pagato per quel traguardo.

Significa, infatti, ricordare e onorare innanzitutto i caduti – tutti i caduti – della prima Guerra mondiale, che causò la morte di milioni di soldati e un numero imprecisato di feriti e minati nel fisico e nella mente. Un percorso lungo, sofferto, lastricato di sacrifici, dolore e lutti. Ogni nome di soldato caduto e di una vittima civile uccisa racconta un frammento della nostra storia.

Nella giornata del 4 Novembre il nostro pensiero va ai nostri militari presenti nelle varie missioni internazionali e, in particolare, agli oltre mille impegnati sotto la bandiera dell’Onu come forza di interposizione tra Libano e Israele.

È paradossale che proprio nella terra delle tre grandi religioni, il valore sacro di salvezza e di speranza sia messo a tacere dall’insensato fragore delle armi che genera morte, oltre 40.000 vittime tra cui donne, bambini, neonati, e dolore, in chi non ha più nemmeno un tetto e una terra sicura dove vivere.

LA GUERRA NON NASCE DA SOLA.

La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali dotati di pari dignità. per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza.

Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi, anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti.

Impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola per il prossimo futuro. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace, coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni, nei gesti della vita di ogni giorno nel linguaggio che si adopera.

Ai ragazzi dico che l’amore non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso anche alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete, penso alla violenza che qualche gruppo di giovani sembra coltivare, talvolta come espressione di rabbia frutto, spesso, dell’indifferenza; e del senso di abbandono.

Questi comportamenti aggravano la difficoltà di occuparsi efficacemente dei problemi e delle emergenze che, cittadini e famiglie, devono affrontare, giorno per giorno. Il lavoro che manca, pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione, quello sottopagato, quello, sovente non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, a condizioni ingiuste, e di scarsa sicurezza, con tante, inammissibili, vittime. Le immani differenze di retribuzione tra pochi super privilegiati e tanti che vivono nel disagio. Le difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti, con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi.

Quando la nostra Costituzione parla di diritti, usa il verbo “RICONOSCERE”.

Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato, ma, anche, che una democrazia si nutre, prima di tutto, della capacità di ascoltare. Occorre coraggio per ascoltare e vedere, senza filtri situazioni spesso ignorate, che ci pongono di fronte ad una realtà a volte difficile da accettare e affrontare.

La democrazia è fatta di esercizio di libertà ed è il voto libero che decide, non rispondere a un sondaggio, urlare contro cercando di approfittare dei sentimenti senza affrontare i problemi anche quando sono complessi o stare sui social.

Libertà che, quanti esercitano pubbliche funzioni – a tutti i livelli -, sono chiamati a garantire. Libertà indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale debbano assicurare che questa venga utilizzata per affermare e non per violare la dignità delle persone o gli abusi di potere, o per orientare attraverso la continua creazione del nemico il pubblico sentimento. Non dobbiamo farci vincere dalla rassegnazione o dall’indifferenza, ma soprattutto non dobbiamo chiuderci in noi stessi per timore che le impetuose novità che abbiamo davanti portino soltanto pericoli.

Prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità è un diritto di libertà, anche un diritto al futuro alla costruzione del futuro. Partecipare significa farsi carico della propria comunità, ciascuno per la sua parte e significa contribuire, anche fiscalmente. L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale e ritarda la rimozione del debito pubblico che ostacola il nostro sviluppo.

Contribuire alla vita e al progresso della Repubblica, della Patria, non può che suscitare orgoglio negli italiani. Ascoltare, quindi, partecipare, cercare, con determinazione e pazienza, quel che unisce. Perché la forza della Repubblica è la sua unità. L’unità della Repubblica è un modo di essere, di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà che sono: la solidarietà, la libertà, l’uguaglianza, la giustizia e la pace».

Redazione


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