«Sono entrato con una borsa vuota, sono uscito con una borsa piena».
Usa questa metafora Andrea De Nicolao per raccontare quanto sia stato arricchito come uomo e come cestista dall’esperienza a contatto con l’associazione varesina Il Millepiedi.
Lo fa davanti alla platea del convegno Il mio orizzonte, simposio promosso dal Centro Internazionale “Gianfranco Brebbia” che si è tenuto nei giorni scorsi a Varese (oltre 70 relatori hanno discusso del valore dell’orientamento nelle disabilità cognitivo relazionali), in mezzo a medici, psicologi e professionisti di ogni tipo. Ma dove gli interventi altrui sono dettami, dati, scienza, il suo è sorriso, fragranza, emozione, racconto: sono piccoli assist di umanità che il nostro fornisce felice. E vanno tutti a canestro, ma anche dritti al cuore con una semplicità disarmante.
Il contatto con il baskin lo ha conquistato. E si vede. Cosa sia il baskin è facile da capire almeno nel “titolo” (basket - inclusivo), poi però bisogna entrare su un parquet e giocarlo per davvero: solo allora si diventa protagonisti di uno sport che mette sullo stesso piano - pratico e regolamentare - disabili e normodotati, persone che possono correre e persone che si muovono appena. Basta far cadere le barriere e la magia si compie.
Il play veneto - ex regista degli Indimenticabili della Pallacanestro Varese 2012/2013 e come tale indimenticato nel cuore dei tifosi varesini, oggi tornato a vivere in zona per giocare nella Pallacanestro Cantù - ha voluto tuffarsi in questa esperienza per viverla in prima persona e poter poi riportare e pubblicizzare una delle più alte forme di inclusione sportiva presenti in città. Si è presentato a un allenamento, diventando per un pomeriggio un giocatore del Millepiedi: «Ringrazio Marco Palladini, responsabile dell’associazione, ma soprattutto tutti i ragazzi, per ciò che mi hanno dato. Quando sono entrato in campo mi hanno accolto correndo verso di me e chiedendomi se mi ricordassi di loro, visto che 12 anni prima ero già stato lì. Sono rimasto senza parole, pronti via subito delle emozioni».
Andrea usa una frase precisa: “travolto dalle emozioni”: «Sono rimasto tre ore a giocare con loro e sono tante le cose che mi hanno “travolto”. In primis la loro sensibilità unica, la loro empatia speciale: hanno un'incredibile ricettività nel capire gli stati d’animo dei compagni e sono sempre pronti a sostenere l’altro nel momento dell’errore. Dopo 16 anni di professionismo pensavo di conoscere bene il concetto di squadra, ma non era così: loro mi hanno insegnato quello vero, con la gioia che provano quando un compagno segna un canestro, con la positività che genera il loro modo di stare insieme, con la loro tolleranza reciproca, con il rispetto che hanno dei limiti altrui».
«La mia borsa era vuota, è uscita piena» conclude allora Andrea, testimonial non solo dello sport più bello del mondo, ma anche di un concetto troppe volte sottovalutato e che invece lui - con il candore del suo racconto partecipato ed entusiasta - conferma alla perfezione: l’inclusione non è un atto di pietà di qualcuno verso qualcun altro, quanto invece un’occasione formidabile, umanamente unica e irripetibile, per imparare reciprocamente qualcosa.