Un Occhio sul Mondo - 26 ottobre 2024, 09:00

“Tra Iran e Israele can che abbaia morde poco..PER Ora”

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Provando a banalizzare il pensiero del Leader spirituale dell'Iran Khamenei, dopo l'attacco subito da Israele che, nella notte tra il 25 e il 26 ottobre, gli ha lanciato addosso il solito centinaio di cacciabombardieri, si potrebbe dire “Vabbè, poteva andare peggio e, tutto sommato, va bene così”. E ne ha ben donde.

Infatti, il colpo di Tel Aviv è stato duro, ma non ha colpito obiettivi vitali iraniani, perché ha risparmiato i siti petroliferi ed energetici del Paese rinunciando, almeno per ora, ad attuare il piano ventilato dal Premier Netanyahu, subito dopo l'attacco iraniano del 1° ottobre, che si prefigge lo scopo di paralizzare l'Iran e indurre a ribellarsi la parte di popolazione contraria al Regime. Un progetto che si può ritenere tutt'altro che abbandonato da Tel Aviv, ma che, probabilmente, potrebbe non incontrare i favori di Washington, che dovrebbe essere ancora scottata dall'esperienza irachena, in cui la violenta detronizzazione di Saddam non portò di certo alla stabilizzazione della Nazione “liberata” dal Dittatore.

Ovviamente, nella definizione dei targets, Israele neppure ha preso in considerazione i siti connessi con il programma nucleare, perchè nonostante questo continui a costituire un serio cruccio per gli Americani ed una spina nel fianco della sicurezza futura di tutta la regione mediorientale, una loro distruzione avrebbe determinato un'escalation pressoché automatica. Inoltre, un bombardamento di questo genere presuppone dei rischi elevatissimi di effetti collaterali, difficilmente prevedibili e tanto meno controllabili, che nemmeno l'attuale totale indifferenza israeliana per la morte di civili si è sentita di affrontare.

L'operazione, che è stata denominata “Giorni del Pentimento”, in modo che sulle sue finalità non ci fossero dubbi, è stata preannunciata qualche ora prima agli Americani e fin qui nulla di strano ma, con un anticipo di alcuni minuti, Israele ha ritenuto di avvisare anche gli stessi Iraniani. Una stranezza solo in apparenza, perché probabilmente rientra nella pressione psicologica che Tel Aviv mantiene su Teheran, che deve essere sempre cosciente che può essere colpita in ogni posto e momento, senza speranza di poter contrastare e tanto meno fermare le forze dell'IDF-Israel Defence Force. La stessa attesa di quasi un mese per assistere alla reazione è da intendersi in questo senso: Israele colpisce senza problemi.

Infatti, le tre ondate di aerei con la Stella di David hanno potuto colpire, pressoché indisturbate, i principali obiettivi missilistici e della Difesa aerea iraniana, confermando che Israele detiene il dominio del cielo su tutto il Medio Oriente, anche perché, per condurre l'attacco ha dovuto utilizzare lo spazio aereo di altri Paesi arabi, come Giordania, Arabia Saudita e, forse, anche Iraq e Siria. Ma mentre per questi ultimi, sostanzialmente, non è così necessaria un'autorizzazione, vista che la situazione siriana è già di per se stessa conflittuale e quella irachena è ancora sotto influenza USA, per le prime due Nazioni, assolutamente sovrane, il discorso è diverso, per cui c'è da presumere che, con buona probabilità, abbiano se non proprio concesso il permesso a Tel Aviv, quanto meno abbiano chiuso gli occhi sui sorvoli del loro territorio. Un atteggiamento che, comunque sia, porta per ora ad escludere che l'arroganza e lo strapotere israeliano possano determinare una coagulazione del mondo islamico, evidentemente non ancora abbastanza umiliato per trascendere la divisione tra Sunniti e Sciiti. Questo nonostante si stia comunque registrando un tentativo di distensione tra Arabia e Iran, che recentemente, hanno svolto esercitazioni militari congiunte ed hanno condiviso l'adesione ai BRICS.

Proviamo ora a fare qualche valutazione sull'attuale situazione, che sembrerebbe anche figlia dell'esigenza comune di “salvare faccia ed onore”.

Israele ha avuto la sua vendetta, in risposta all'attacco dei duecento missili iraniani ma, dopo molto tempo in cui ha fatto “di testa sua”, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, è tornato ad ascoltare gli Alleati americani che, non dimentichiamo, sono sotto elezioni. Per l'attuale reggenza democratica arrivare al 5 novembre con una potenziale escalation in Medio Oriente non sarebbe di certo un buon viatico.

Inoltre, Tel Aviv è ancora alle prese con i combattimenti nella Striscia di Gaza, contro ciò che rimane di Hamas e, soprattutto, in Libano, dove Hezbollah sta dimostrando di essere ancora lontano da un'eventuale crisi operativa, nonostante gli sforzi delle IDF e le sue dichiarazioni di successo. Pertanto, non è proprio il caso di aprire un altro fronte di guerra, per di più contro una Nazione che, per quanto più debole, è comunque ben organizzata.

L'Iran andava colpito ed è stato fatto, per cui la questione, perlomeno per il momento, dovrebbe terminare con questo atto, anche perché, al rientro degli aerei, il Portavoce della Difesa Israeliana Daniel Hagari ha dichiarato. “Per noi l'operazione è conclusa”. Quindi è stata un'azione decisa e distruttiva, ma non al punto da costringere Teheran a dover nuovamente rispondere, per salvaguardare credibilità ed onore davanti al mondo, islamico e non, ma soprattutto agli occhi di quegli alleati non convenzionali, che tecnicamente si definiscono “proxi”, quali Hamas, Hezbollah, Houti e altri gruppi terroristici di stampo sciita, su cui l'Iran conta.

Per quanto riguarda lo Stato Sciita, di certo non si trova in una condizione agevole e ne è assolutamente consapevole. Non muore dalla voglia di arrivare al punto di una guerra totale con Israele, perchè sa perfettamente che i risultati sarebbero probabilmente drammatici se non catastrofici, perchè è troppa la superiorità militare di Tel Aviv, così come è incomparabile la sua determinazione complessiva che, all'unisono, passa dal livello politico a quello delle Forze Armate. Inoltre, Tel Aviv continuerebbe a godere del supporto Usa che, a quel punto, potrebbe essere non solo difensivo.

Soprattutto per questi motivi e non solo per propaganda, l'Iran ha cercato tendenzialmente di minimizzare decisamente la portata e gli effetti dell'attacco di Israele, in modo da non mettersi nelle condizioni di dover promettere una immediata e più forte rappresaglia. Lo provano i commenti “a caldo” del Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, il quale ha affermato che Teheran ha già ampiamente “dimostrato che non ci sono limiti alla determinazione nel difendersi”, per cui evidentemente non è necessario fornire altre dimostrazioni di forza. Per dar credibilità al suo pensiero, il Ministro è arrivato a elogiare la consapevolezza del proprio Paese “delle sue responsabilità per la pace e la sicurezza a livello regionale”, dipingendo l'Iran come un attore responsabile ed equilibrato della Regione Mediorientale. E abbiamo detto tutto.

Tuttavia, anche nel Parlamento iraniano esistono i “duri e puri” ultraconservatori, che spingono per una nuova risposta. Il problema, per il Governo, non sono tanto i loro proclami, quanto piuttosto l'appoggio di cui il loro pensiero gode presso le Forze Armate e, soprattutto, presso i Vertici del Corpo delle Guardie della Rivoluzione (i Pasdaran), che mal sopportano le umiliazioni inflitte da Israele e non lo nascondono, nonostante la loro diretta dipendenza dalla Guida Suprema dell'Iran. Proprio quell'Ayatollah Ali Khamenei che si è trincerato dietro una lapalissiana dichiarazione, che dice tutto e niente “Non ingigantire né sminuire l'attacco israeliano”, assumendo in tal modo una posizione molto prudente, anche sull'onda della consapevolezza che il suo avvicendamento si sta avvicinando.

In tale contesto, le tensioni interne iraniane, già in fibrillazione per una situazione economica in difficoltà, per le sanzioni che patisce da tempo, potrebbero rischiare di acuirsi ulteriormente, cosa che il nuovo Presidente moderato Pezeshkian non può permettersi.

Quindi, la valvola di sfogo per calmare un po' gli esagitati potrebbe essere quella di continuare la lotta all'acerrimo nemico attraverso i “proxi”, proseguendo a sostenerli, nonostante le casse dello Stato non siano così floride.

Tuttavia, probabilmente Teheran potrà sopportare sempre meglio questo sforzo economico perché l'isolamento a cui è stato sottoposta negli ultimi anni si è ormai rotto con la sua partecipazione ai BRICS, con Russia e Cina sempre più interessate ad aver voce in capitolo nei giochi mediorientali. A tal proposito, val la pena ricordare che dopo il bombardamento israeliano di qualche giorno fa di una base russa in Siria (ennesima follia di Netanyahu), Mosca ha aperto un conto che, prima o poi, intenderà chiudere. E quale occasione migliore se non andare in soccorso dell'Iran?

E secondo i principali analisti medio-orientali succederà proprio tutto questo, con una tensione tra Israele e Iran che si manterrà sempre su livelli elevati, anche se i due attacchi reciproci hanno, per ora, scongiurato un'escalation in tutta l'area del Golfo.

Hamas è al lumicino, ma Hezbollah regge ancora bene e riesce anche a contrattaccare, colpendo oltre l'area di confine, arrivando sino alla casa dello stesso Netanyahu che, in fondo, non ha avuto sinora il coraggio di ordinare alle sue forze di procedere ad una vera e propria invasione del Libano. E tra le cause di questa esitazione ci potrebbe anche essere la presenza di UNIFIL, che nonostante sia costretta a tenere i propri uomini rintanati nei bunker, tuttavia costituisce comunque un testimone molto scomodo per Tel Aviv che, ormai, si è abituata a condurre operazioni militari senza preoccuparsi minimamente delle perdite civili e delle distruzioni. Questo non si può fare con i Caschi blu in circolazione e infatti le IDF in Libano stanno incontrando molte difficoltà e, soprattutto, stanno subendo perdite che nella Striscia di Gaza sarebbero state impensabili. Quindi la campagna libanese è ben lontana da una fine e ha già costretto Israele a prevedere un deciso incremento delle spese militari nel prossimo biennio. E ciò nonostante non ci sia una vera e propria guerra.

Marcello Bellacicco