«Bisogna chiedere al Mario».
In questa frase, risuonata per tanti anni in azienda, si respirano la dedizione e l’autorevolezza di Mario Morandi. Che ha profuso energie e competenze nel suo lavoro alla Mem - nel campo della viteria e bulloneria - per almeno settant’anni, subentrando al padre Pietro e accanto ai fratelli: lui era il maggiore. È scomparso in queste ore a 89 anni a Busto Arsizio: nato e vissuto a Sant’Edoardo, lì sarà celebrato il funerale martedì 22 ottobre alle ore 9.30 (preceduto dal Rosario, che inizierà alle 9.20).
Lavoro e famiglia nel cuore: i confini si dissolvono. Senza scordare la devozione: quella fede profonda, non gridata, che si esprimeva anche in ufficio con una preghiera mormorata ogni mattina davanti a una stampa della Madonna. Quel minuto di raccoglimento che dava forza e direzione alla giornata: fede e lavoro, alla bustocca.
Fu appunto papà Pietro – classe 1904 - a tracciare la strada, anche se lui era un fabbro e realizzava opere che erano arte. La guerra però non è interessata a quest’ultima e si prende il materiale per produrre invece cannoni. Ecco allora che ci si mette a fare viti, preziosissime, e si porterà avanti questa missione per novant’anni. Mario è il primo figlio e anche quello su cui si investe, con tanti sacrifici, per farlo studiare: prima il diploma di Ragioneria, poi l’università a Milano, Economia e commercio. Arriva fino a preparare la tesi e va a Londra, ma poi l’azienda chiama. Lui entra, come faranno poi sorelle e fratelli. Si è fatto carico, in virtù di quel suo essere il figlio più grande e del suo carisma: il rispetto se l’è guadagnato sul campo, dando, prima di tutto, rispetto agli altri.
Bisogna chiederlo al Mario, si diceva in famiglia. E lo stesso per i dipendenti, con davanti però rigorosamente un «signor». La Mem Srl nasce a Busto Arsizio, a Sant’Edoardo anch’essa, originariamente in via Mantova. Oggi è in viale Toscana. Poi a Lonate Pozzolo, le Meccaniche Morandi, la parte produttiva, che Mario costruisce e fa crescere.
Lui arriva sempre per primo, persino nell’ultimo anno di presenza in ditta (oggi una cinquantina di dipendenti) quando non è più alla guida, eccolo alle otto e anche il fine settimana: l’unica differenza è che non resta fino a sera, ma torna a casa prima dalla sua Pinuccia. Nel corso della giornata studia anche il Sole24ore e si premura di ritagliare articoli interessanti da passare.
All’inizio nell’attività c’erano dei soci, poi la famiglia decide di compiere il grande salto. Mario ha sempre tenuto la barra dritta, fino a poco dopo il Covid. Nel luglio 2020 il cambio di Cda, con l’ingresso a tutti gli effetti della terza generazione: oltre al mercato nazionale, c’è un 15-20% di clientela straniera.
Mario resta in azienda ancora un anno e mezzo circa, senza ruoli direzionali, ma a guidare con il suo sguardo. Lo sguardo che ora si è solo spostato un po’ più su, ma si poserà sempre sull’azienda di famiglia, su Pinuccia, le figlie Cristina e Ilaria, i generi e i nipotini, i fratelli e i loro discendenti. E le famiglie di cui si è sempre sentito comunque responsabile, perché fare l’imprenditore è anche questo: quelle dei suoi collaboratori.
Come i familiari, anche i suoi dipendenti lo stanno ricordando e stanno scrivendo messaggi bellissimi, perché Mario ha lasciato una doppia eredità: l’azienda e l’esempio, scolpito nei princìpi, nell’equilibrio e nella correttezza.
Con l’eco di quelle riunioni in cui concludeva: andiamo che ora c’è da lavorare. In bustocco, come parlava ai fratelli. Dopo il confronto, la capacità di prendere la decisione come si doveva. E tutti seguivano Mario, come avverrà martedì con l'ultimo, commosso abbraccio.