Opinioni - 15 ottobre 2024, 16:53

L'OPINIONE. Quei 400 pasti al giorno ai bisognosi mettono alla prova il cuore di Varese. Basterebbe una rete della carità diffusa

Ne succedono di tutti i colori, dalla Pallacanestro Varese ultima alla Tre Valli che alza bandiera bianca all'addio dopo un secolo e mezzo delle suore della Riparazione che sfamavano 400 poveri ogni giorno. Una società civile penserebbe a una rete di associazioni, parrocchie ed enti che si sobbarcano ognuno un pezzetto dell’impresa in più punti della città

Le persone in coda in via Bernardino Luini in attesa dei pasti preparati dalle suore della Riparazione

Verrebbe quasi da dar ragione al generale Vannacci: il mondo pare proprio andare al contrario. Ma non per i motivi che adduce, a conferma delle sue tesi, il fascioleghista con le stellette. Il mondo sembra andare al contrario perché, a Varese, ma non solo a Varese, ne succedono di tutti i colori. E qui non si parla solo delle aurore boreali che incendiano il cielo del Campo dei Fiori. E nemmeno della Tre Valli che alza bandiera bianca e si ferma davanti al maltempo, roba che  dal 1919 a oggi, era successa solo per la guerra mondiale e per il Covid. E poi medici e infermieri che invece di essere ringraziati vengono aggrediti e malmenati in corsia. Che dire poi della squadra di basket che langue all’ultimo posto di una classifica che un tempo ne faceva risplendere tecnica e forza.

A tutto questo si aggiunge la notizia che le suore della Riparazione, dopo un secolo e mezzo di attività sotto il Bernascone, lasciano Varese, il palazzo che le ha ospitate e la cucina nella quale hanno preparato ogni giorno un pasto per 300/400 persone.

Roberto Molinari, assessore ai Servizi Sociali, è in agitazione: chi darà da mangiare a quel battaglione di bisognosi? Don Gabriele Gioia, neo prevosto della città, si trova, pronti via,  tra le mani questa gatta da pelare. Monsignor Franco Gallivanone, vicario episcopale e quindi ambasciatore di quell’arcivescovo Delpini che è il padrone di casa di via Bernardino Luini, cerca di mettere insieme le tessere di un mosaico che rischia di disgregarsi sotto la spinta delle vecchie e nuove povertà. Una soluzione tampone è stata trovata: la mensa serale si trasferirà, con nuove regole e nuovi controlli, alla parrocchia della Brunella, dove già funziona da anni la Casa della Carità. Un ripiego temporaneo, perché gli spazi, la posizione, la coabitazione con le numerose iniziative della parrocchia consigliano di trovare sistemazioni più adeguate.

Ma qui viene da chiedersi se sia solo la Chiesa varesina a doversi fare carico dei 400 poveri che ogni giorno le Suore della Riparazione hanno sfamato in questi anni. I volontari che affiancavano le religiose si sono detti nella stragrande maggioranza disponibili a continuare questo servizio alla città. Perché di servizio si tratta. Non di buonismo o di semplice buon cuore. E se l’amministrazione non può farsene carico, legata com’è a appalti, gare, concessioni, autorizzazioni, codici e codicilli, bisognerà che intervenga Varese, intesa come società civile. La generosità da queste parti non è merce rara, anzi. Probabilmente si tratta solo di mettere insieme forze diverse e trovare luogo e modalità per soddisfare questi bisogni. Non è neppure necessario che sia un unico centro a gestire i pasti. Può essere una rete di associazioni, parrocchie, enti che si sobbarcano ognuno un pezzetto dell’impresa. Una sorta di carità diffusa che coinvolga più punti della città.

Difficile da realizzare? Perché a voi preparare 400 pasti a sera come hanno fatto fino ad oggi le anziane suore sembra un gioco da ragazzi?

Marco Dal Fior