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Opinioni | 04 ottobre 2024, 09:23

L'inchiesta sulle Curve e il mio appello: spalancate i cancelli ai tifosi veri

Com'è possibile che nel calcio di oggi un capo della curva interista fosse in possesso del cellulare del tecnico Simone Inzaghi col quale interloquiva anche con tono arrogante? E ai tifosi invece venga proibito di assistere agli allenamenti nei centri sportivi? Presidente Marotta, lei che è un grande uomo di calcio, apra le porte alla Pinetina

I tifosi interisti festeggiano lo scudetto a Busto lo scorso aprile (foto d'archivio)

I tifosi interisti festeggiano lo scudetto a Busto lo scorso aprile (foto d'archivio)

Sarà una rubrica dai contenuti sportivi, al di fuori di quelli tecnici, con la pretesa di proporre argomenti, riflessioni, discussioni che riguardano il mondo sportivo ed in particolare quello calcistico.

Un appuntamento per approfondire notizie, far emergere dettagli che possono sfuggire ad un primo sguardo, ma che meritano invece un'attenzione suscitando un dibattito e delle critiche. Insomma un soffermarsi prendendosi qualche minuto del proprio tempo.

E allora mi fermo qui alle presentazioni ed ai convenevoli per addentrarmi subito in un argomento freschissimo di questi giorni: l'inchiesta sulle Curve di Inter e Milan.

Non voglio toccare il merito giudiziario di quanto svelato dalla Procura di Milano, ma, da quanto emerso dalle carte, si viene a conoscenza che un capo tifoso della curva interista era in possesso del cellulare del tecnico Simone Inzaghi col quale interloquiva anche con tono arrogante.

Ed allora ti viene naturale farti qualche domanda, chiederti qualche perché su questo presunto privilegiato che possa parlare con Inzaghi, come fa con una persona qualsiasi. E ti poni l'interrogativo proprio in virtù di come il mondo del calcio è andato strutturandosi nel corso degli ultimi decenni.

Come lo ha avuto il numero quel tifoso?  

È possibile che questo avvenga nel calcio di oggi in cui le interviste ai giocatori sono programmate e devono essere effettuate in presenza di un componente della comunicazione che vigila che non si debordi con domande scomode che possano suscitare polemiche? A quanto pare sì.

È possibile che questo avvenga nel calcio di oggi in cui i giocatori salgono sul pullman che li porta allo stadio completamente oscurato o tappezzato dai colori sociali per impedire alle gente in strada di vedere i giocatori perché questi possano smarrire la concentrazione? A quanto pare sì.

È possibile che questo avvenga nel calcio di oggi in cui ai tifosi venga proibito di assistere agli allenamenti nei centri sportivi perché disturbano o rubano qualche segreto tattico? A quanto pare sì.

C'è dell'incongruenza, del paradosso e della ipocrisia.

Diverse volte sono andato alla Pinetina, lì vicino faccio visita ad un affetto che non c'è più, e da sempre mi pare una fortezza alla quale mancano le torrette con i Vopos (soldati della ex Germania Orientale) pronti a colpirti se passi un'immaginaria linea rossa.

Che ci vai a fare direbbe qualcuno? Vero. È la passione che ti spinge ad andare lì. Ci andavo da giovane in compagnia lasciando la bici quasi ai bordi del campo di allenamento per seguire la partita del giovedì. Ci vado ora con la ingenua speranza di vedere, chissà mai, aperto i cancelli. Ma va. Se vuoi fare un selfie con un giocatore devi attendere ore e non tutti sono disponibili.

Faccio appello al presidente Marotta perché apra ogni tanto quella benedetta Pinetina. Spalanchi i cancelli ai tifosi, quelli veri, quelli che aprono il portafogli per dare e non per ricevere. Faccia felici quei tifosi, piccoli e grandi; se lo meritano i primi per rafforzare la loro fede nerazzurra  ed è un premio per i secondi che, nel corso degli anni, non hanno mai perso l'entusiasmo e la passione. Anzi, più gli anni si accumulano e più il cuore soffre.

Coraggio presidente Marotta, lei che è un grande uomo di calcio e ben conosce le sue dinamiche apra le porte della Pinetina, darebbe un tocco frizzante all'aria già salubre di Appiano Gentile.

Non so se leggerà questo mio appello e lo raccoglierà. Non ho altro modo di comunicare con lei. Non ho il suo cellulare e nemmeno lo pretendo.

Giovanni Toia


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