Dopo tante domeniche di calcio in diretta un po' per dovere e un po' per passione prima che per convinzione, stasera possiamo tornare ad andare a letto felici dopo una partita del Varese. E lo facciamo perché abbiamo visto un ragazzo che nasce con il sogno di giocare in questa squadra, e ci crede anche quando altri gli dicevano di non farlo, debuttare titolare a 18 anni con la maglia della sua città in quello stadio dove papà lo portava a tifare i biancorossi fin da piccolo. Una volta era la regola di ogni varesino, negli ultimi dieci anni è stata l'eccezione.
Dopo che gli avevano dato la notizia d'essere tra gli undici neppure 24 ore prima, al primo pallone toccato quel ragazzo manda in gol Banfi, un altro pezzo d'aria per chi vuole solo respirare varesinità nel Varese. Tanti altri quella palla scottante l'avrebbero passata al portiere o al compagno più vicino, Pietro Marangon no: ha scelto quello più lontano, il coraggio, l'incoscienza, un sogno e la voglia di vincere davanti a paura, normalità e quieto vivere. Alla De Luca. Alla Pisano. Alla Lazaar. Come se avesse dentro il fuoco del Varese, radunato in queste parole dell'allenatore Roberto Floris: «Pur di vincere ero pronto a perdere».
E siamo ancora più felici perché per papà Giuseppe Marangon scorgere quel ragazzino uscire dal tunnel con la maglia numero 21 al Franco Ossola è stato come vedere riapparire l'amico Fausto che non c'è più o come se fossero scesi in campo contemporaneamente il Varese di Fascetti, Sannino e Maran, nello stesso momento, un pezzo del suo passato, della sua vita e del suo cuore che corrono nel futuro su gambe veloci.
Ma siamo felici anche perché quando la curva urla il nome di un allenatore del Varese come accade con Roberto Floris, significa che quella persona è stata capace di tirare fuori dal profondo dell'anima qualcosa che va al di là del campo. È riuscito ad amare ciò che fa e il posto in cui è ancor prima che quest'ultimi gli abbiano dato qualcosa. A noi questo allenatore piace da quando qualcuno ci raccontò che, dopo essersi fermato a un distributore della città per fare il pieno all'auto, e venendo riconosciuto, Floris come prima cosa disse: «Domenica vieni allo stadio, il biglietto te lo compro io e te lo faccio trovare al botteghino».
Questa è l'operazione simpatia che ci piace. Perché viene da dentro, arriva dal cuore e va al di là della classifica. Riempire un seggiolino alla volta la tribuna di uno stadio che sembrava disabitato, essere in panchina pensando a quelli che sono alle tue spalle, sentire il peso di una piazza ferita e a volte intrattabile come un piacere prima che come un dovere, entrare nelle pieghe di sofferenze così grandi da riscattare, ma intanto entrarci: Floris a noi sembra qui per questo.
Intanto andiamo a letto felici perché attorno a noi abbiamo visto gente felice per il Varese, una cosa che ci sembrava impossibile. Saliamo sul carro? No, dormiamo sulle nuvole.