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Politica | 11 settembre 2024, 17:00

Il sindaco di Brenta Ballardin: «No all'allargamento del campo largo a Italia Viva»

Il primo cittadino e storico esponente provinciale del fronte progressista ed esponente del Pd interviene sul dibattito politico riguardo al futuro del centrosinistra: «Renzi vuole cose diverse da noi su sanità, legalità, Costituzione, ambiente, sviluppo economico, ruolo delle istituzioni e sul rapporto tra la politica e chi la finanzia»

Il sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin

Il sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta del sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin, storico esponente del fronte progressista e del centrosinistra della provincia di Varese riguardo al futuro del cosiddetto "campo largo" con un no all'apertura a Matteo Renzi:

Visto il dibattito nel centro sinistra di questo periodo voglio esprimere la mia opinione, anche se so che se non fai parte dell’establishment o delle menti pensanti, non viene considerata nel dibattito e valutata con condizione di *sufficienza.  Ciò nonostante dico che personalmente non sono d’accordo sulla possibilità di allargare il campo largo ad un accordo con Italia viva; perché vuole cose diverse da noi sulla sanità, la legalità, la Costituzione, l'ambiente e lo sviluppo economico.

Perché ha idee diverse da noi, dal Pd, sul ruolo delle Istituzioni, sul rapporto tra la politica e chi la finanzia. A suo tempo alcuni di noi avevano detto che col “renzismo” si sarebbe aperto un varco nel popolo e che avrebbe potuto entrarci una destra aggressiva, ed è successo.

La politica promossa da Renzi sognava uno stato imprenditore capace di trasformare le scelte in provvedimenti sociali finalizzati ad avvantaggiare, non una tutela collettiva, ma prevalentemente la condizione individuale. Questa politica ha avuto gravi ripercussioni su molti indirizzi assunti dallo Stato in particolare favorendo gli spazi di crescita alla sanità privata oggi sempre più finanziata a scapito di quella pubblica.

Da questa mentalità si è determinato quello che accade in Italia, ormai da decenni, dove si dimostra che il quid della politica odierna non è affatto la teologia, come alcuni teorici suppongono, semmai l’estetica: e tutto diventa un fatto di scelte compiute all’interno di una comunicazione non veritiera, come lo è del resto la condizione dell’intera vita sociale basata sul dire cose che non rispondono alla realtà del vissuto e dei fatti quotidiani della gente.

Renzi in sostanza è stato la continuità con il ventennio berlusconiano. E si può dire di più: mentre Berlusconi, che certo non aveva dalla sua la gioventù, aveva tuttavia il fascino del grande affabulatore, Renzi non aveva nulla, nemmeno questo.

La smisurata ambizione dell’ex rottamatore era dunque compresa nell’orizzonte ristrettissimo di una manovrina di palazzo architettata in compagnia degli storici della politica che hanno indirizzano quel dibattito e che poi sono riusciti a nascondersi in una parte della minoranza del Pd.

Oggi noi assistiamo ad una “generazione di banderuole”, ché «da vent’anni si scioglie e fonda partiti, usa metodi ricattatori, pur di mantenere “LA CADREGA”, approfittando della sua minima rappresentanza, riempiendo e svuotando sedi, in un continuo pellegrinaggio che ha reso difficile l’orientamento al voto in particolare per gli elettori del centrosinistra.

Mentre la sinistra italiana subisce e ha subito in termini di dinamicità interna ed esterna il proprio assetto familista e almeno sino ad oggi, il Pd è l’emblema di un sistema politico bloccato incapace di unire e che nei dati assiste ad una condizione di flussi elettorali di minima entità tra i due schieramenti.

In novant’anni di storia della sinistra è la prima volta che in un partito, in nome dell’emergenza nazionale, si è tentato di portare al governo democristiani e comunisti insieme in un compromesso che in un certo modo è diventato, a volte inconsciamente e altre volte invece in piena coscienza, parte fondante del Dna politico di un’intera generazione di dirigenti di sinistra.

Resta comunque vero che soltanto un percorso di ampie alleanze può reggere il confronto con la cultura del populismo, così come è sicuramente vero che a tutto questo ci si può opporre con la costruzione di una coalizione unitaria che regge sulla condizione di un programma che possa essere, questo sì il vero collante di un intesa unitaria, basata sulla visione di un futuro in grado di affrontare e possibilmente risolvere i problemi reali che vivono le persone.

Come è altresì sbagliato rincorrere l’avversario sul suo terreno, nell’illusione che alla fine il leader “giusto” e come spesso è accaduto nella storia e nella cultura italiana, possa avere la meglio su quello opposto.

Solo attraverso una capace tessitura di un programma politico alternativo si può contrastare la deformazione della democrazia di cui la sindrome populistica di oggi è il sintomo negativo.

La capacità di presa del populismo, del resto, non è data soltanto dalla comunicazione politica, condotta all’estremo nell’uso delle televisioni come ha indicato a suo tempo Berlusconi, ma dalla sistematica occupazione dei posti di potere, come stano facendo i partiti di governo attraverso il tentativo di modificare la lettura degli eventi storici e trasformando la quotidianità in un evento di ossessiva ripetizione sulla capacità storica, anche quando non vera, del governo Meloni.

I CITTADINI CI CHIEDONO DI COSTRUIRE UNA PROPOSTA SERIA E COERENTE. 

Chiedono alla politica di formare i quadri che possono rappresentare il cambiamento del paese, partendo dal basso, dalla formazione sul campo, da una reale conoscenza del vissuto, uscendo dalla staticità delle nomine che si perpetuano o che fanno parte della logica guidata da una condizione correntizia.

Ci chiedono di costruire una politica progressista capace di aggregare, che sappia comprendere, rappresentare e sostenere il mutamento della società attraverso l’attuazione di politiche riformiste e innovatrici, perseguendo il progresso in campo sociale ed economico.

L’occupazione è in difficoltà anche se si spergiura, citando il periodo che va da Garibaldi ad oggi, che non è mai stata così in aumento; ma la realtà dei fatti ci dice che anche nei Paesi in cui la disoccupazione appare minore, una quantità impressionante di lavori sono precari, a tempo parziale o stagionali, insicuri e pagati poco.

Le retribuzioni reali, quelle che la gente onesta percepisce non evadendo il fisco, sono pressoché ferme da più di un decennio.

Sul piano politico tutto ciò produce insicurezza e paura e si traduce in una pericolosa instabilità e radicalizzazione che non punta alla soluzione del fenomeno ma ad un suo uso indirizzato solo per fini elettorali.

Le classi medie, che tradizionalmente sono state il pilastro della stabilità politica e sociale, oggi sono duramente colpite e tendono o a radicalizzarsi politicamente sulla base di “chi urla più forte” o a non esprimere il voto non credendo nella differenza della politica, “sono tutti uguali”, o nella capacità che questa condizione possa nelle differenze cambiare le cose, al punto che oggi la maggioranza reale del paese è composta dal 50% degli astenuti che non partecipano al voto.

In questa prospettiva dobbiamo riorganizzare il rapporto tra centro e periferia ripensando ad un radicamento territoriale del partito progressista.

Senza un sistema di istituzioni locali dotate di un adeguato grado di autonomia nell’espressione degli indirizzi politici e di un esteso campo di competenze non riusciremo a costruire una reale alternativa al populismo. 

Lo sviluppo di un mercato dei capitali in grado di integrarsi con i mercati finanziari europei e globali e di competere con questi nell’attrazione del risparmio nazionale e internazionale dovrebbe essere un punto chiave dell’agenda politica di un partito progressista.

La cultura progressista, deve avere un ruolo determinante e aggregante nel creare la democrazia rappresentativa, nello sviluppare una dimensione sociale della crescita economica, nel far maturare una sensibilità ai problemi ambientali, deve riuscire a scuotersi dal suo stato regressivo e depressivo e recuperare la sua capacità di “parlare al mondo” e di guidare risposte innovative sviluppando una dimensione sociale della crescita economica, anche nel far maturare una credibilità ed una sensibilità collettiva sui temi ambientali, 

Dobbiamo però capire che l’importante strumento dato dalla politica deve essere usato quale mezzo per mettersi a servizio dei bisogni della gente e non quale fine personale per raggiungere traguardi che altrimenti non sarebbero in altro modo consentiti.

La formazione dei quadri, la creazione di una cultura e la passione e dei militanti, la considerazione delle esperienze maturate direttamente nei vari campi della rappresentanza, non sono cose inutili ma fanno parte della costruzione di questo percorso di crescita. Solo in questo percorso si rottama il fluido negativo della politica e ci si prepara a costruire un positivo futuro.


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