Gallarate - 26 luglio 2024, 08:03

VIDEO/ASPETTANDO PARIGI. Michele Frangilli: l’oro, l’argento, il bronzo di Olimpia. E la freccia della vita

L’arciere di Gallarate ha partecipato a quattro edizioni dei Giochi olimpici, salendo su tutti i gradini del podio. Dall’esame di maturità rinviato per andare ad Atlanta alle lacrime per l’oro pensando alla madre scomparsa. E ora farà il commentatore

Michele Frangilli al campo di allenamento della Compagnia Arcieri Monica

Ci sono nazioni che, alle Olimpiadi, non possono vantare lo stesso curriculum di Michele Frangilli, tra partecipazioni (quattro, più una “panchina”, come riserva) e medaglie vinte (tre). L’arciere di Gallarate (in azione nel video in fondo), tesserato con il Gruppo sportivo dell’Aeronautica Militare e la Compagnia Arcieri Monica, è “cintura nera” dei cinque cerchi. E collezionista che ha completato la raccolta dei metalli: bronzo (ad Atlanta), argento (Sydney) e oro (Londra). Ma per arrivare all’ultima freccia entrata nel bersaglio e nella storia, come in un film, nel 2012, bisogna prima andare indietro nel tempo.

Partiamo dall’emozione della prima volta, nel 96. Stati Uniti. Nella città della Coca Cola perfino i più disincantati percepiscono qualche eccesso commerciale: il nome di Atlanta, durante la cerimonia di apertura, viene disegnato con gli stessi caratteri usati nel logo della bevanda gassata più diffusa al mondo. In compenso, ai cultori dello sport (e allo storico cronista Rai, Giampiero Galeazzi) viene un mezzo infarto quando scoprono che è la leggenda Muhammad Alì ad accendere il braciere di Olimpia. Di lì a non molto, gli arcieri entrano in azione.

Tu come hai affrontato quell’avventura?

Senza aspettative precise. Ero giovane, alla prima esperienza olimpica… La squadra aveva un’età media bassa, soprattutto grazie a me e a Matteo Bisiani, seniores da poco. La tensione c’era ma l’ho vissuta senza percepire grandi pressioni. Nell’individuale ho perso allo shoot-off con l’americano che poi ha conquistato l’oro, io sono arrivato sesto. Nella gara a squadre ricordo uno scontro molto sofferto ma poi, come si dice, le cose sono girate. Il ritmo della competizione è veloce al punto da non lasciarti molto tempo per pensare. Vai avanti freccia per freccia. In quel caso, fino al bronzo.

Soddisfazione?

Tanta, certo. Anche perché alla medaglia sono arrivato dopo un lungo percorso. Il tiro con l’arco è una passione di famiglia, dei miei genitori prima che mia. E io, che ho iniziato molto presto, ho fatto delle scelte anche radicali. Un giorno, frequentavo l’Itis a Gallarate, ho salutato i compagni di classe. Pensavano a un semplice “ciao, a presto”. Guardate, gli ho detto, che non torno. Lasciavo la scuola proprio per preparare le Olimpiadi. I professori cercarono di farmi cambiare idea, si offrirono di aiutarmi. Ma non capivano al cento per cento, io dovevo dedicarmi completamente al tiro con l’arco... Poi mi sono diplomato, ovviamente, in tempi compatibili con quelli sportivi.

E a Sydney? Stessa spensieratezza di Atlanta?

Si andava dall’altra parte del mondo, ci fu un avvicinamento lungo. Una settimana in Giappone, poi Brisbane. Il programma, a Sydney come ad Atlanta, mi ha permesso di vivere parecchio il clima e il villaggio olimpico, fra l’altro sfilando alle cerimonie di apertura. Seguivo le altre discipline. Incontravo atleti, delegati, giornalisti… Comunque, a Sydney una certa pressione si è sentita. Ero nella fase che potrei definire “top” della mia carriera. Venivo da risultati importanti a livello internazionale, tanto che qualcuno trovò la definizione “l’uomo che potrebbe diventare re” (ghigno, Ndr). Comunque, come prima e come al solito, andammo avanti passo dopo passo. Non è facile sostenere la progressione della gara: il tiro con l’arco, in aggiunta alla parte tecnica, comporta sollecitazioni fisiche che i profani non calcolano appieno. E serve concentrazione. Si tratta pur sempre di colpire un disco giallo di 12 centimetri da 70 metri. La freccia copre la distanza più o meno in un secondo. Fu argento a squadre. Ci ha sconfitto solo la Corea, che spesso e volentieri è la squadra da battere.

Poi ci furono dei passaggi a vuoto, almeno alle Olimpiadi.

Atene. All’individuale ho perso al secondo scontro. E abbiamo cannato pure la gara a squadre. Va messo in conto. Non può andare sempre bene. Poi, ricordiamolo, ci sono anche gli altri. Però quella volta l’Italia sorrise lo stesso, Marco Galiazzo vinse l’oro. Per Pechino nemmeno mi sono qualificato, una conseguenza di problemi tecnici e mentali. Pure l’avvicinamento ai giochi di Londra non fu esattamente trionfale: in Coppa del Mondo, salvo eccezioni, non eravamo stati brillanti...

Sarete arrivati alle Olimpiadi 2012 senza nulla da perdere…

Noi (la squadra comprendeva anche Marco Galiazzo e Mauro Nespoli, Ndr) non avevamo aspettative, gli altri sì! Devi tirare il tuo, come si dice tra arcieri, non puoi pensare di strafare. Però, in gara, abbiamo notato che le altre formazioni viaggiavano a quote un po’ più basse del previsto. Scontro dopo scontro siamo arrivati in finale, agitatissimi. Dall’altra parte del tabellone, gli Stati Uniti hanno battuto in semifinale la Corea, tanto per cambiare favorita. Una notizia. Contro gli Usa pensavamo di potercela giocare.

Finale tirata. Il video si trova facilmente. Ultimo tiro. Il cronista scandisce: con un nove si va allo spareggio, col dieci si vince, Michele Frangilli, la freccia della vita…

Ero consapevole di dovere fare dieci. Su quel campo il vento, che per noi è peggio della pioggia, era parecchio variabile, rimbalzava sugli spalti. Il pubblico a un certo punto fece oooooo… Ca…zo fate ooooo?! Avevo 30 secondi per tirare…

Dieci!

Dieci. Gioia. Festa. È iniziato il rito che si può immaginare, con le interviste… Eravamo sotto la luce dei riflettori anche perché il nostro era il primo oro dell’Italia in quell’Olimpiade. Sono state emozioni forti. Ho pensato ai miei genitori. In particolare a mia mamma: se n’è andata ben prima di potere vedere quella vittoria. Le lacrime, sul podio, erano soprattutto per lei. Fu un vero e proprio svuotamento. Dopo, nell’individuale, ho tolto il disturbo in fretta. E gli altri azzurri pure. Probabilmente eravamo un po' esauriti.

In Italia?

Ci fu l’accoglienza in aeroporto. A Gallarate appesero una gigantografia al municipio. Gli inquilini del condominio mi regalarono un quadro, ci fu la festa con la Compagnia, quella con l’Aeronautica… Mi è anche stata assegnata la targa dei due galli, come cittadino benemerito. Sono stato nominato commendatore della Repubblica. Tante ospitate…

Ti sentivi rappresentante di un territorio? Di Gallarate in particolare?

Un po' sì. Sono nato a Gallarate, tuttora ci vivo, la Compagnia Arcieri Monica è una società gallaratese... Comunque...

Comunque?

Non fu una pausa lunga, i Campionati Italiani incombevano. La filosofia di procedere, di andare sempre avanti, freccia dopo freccia, non si limita alla gestione della singola gara. Quell’anno, ai nazionali ho battuto Nespoli! Tra arcieri ci stimiamo, ci confrontiamo, quando serve facciamo gioco di squadra. Ma la rivalità fa parte del nostro sport, c’è poco da fare.

Dove conservi l'oro olimpico?

Nei primi giorni praticamente non me ne sono mai separato, ho anche dormito tenendolo sotto il cuscino. Perché significava tante cose ma anche, banalmente, perché nei villaggi olimpici i furti sono all’ordine del giorno, i ladri lavorano a ciclo continuo.

E dopo? Oggi? 

Le medaglie sono nascoste sottoterra, in una località segreta (ri-ghigno, Ndr).

Hai un figlio molto piccolo. Tirerà con l’arco?

Di sicuro proverà. Ma farà quello che vorrà. È giusto che si diverta, che sperimenti.

Seguirai Parigi 2024?

Certo. Ho anche provato a qualificarmi, la tenacia e la longevità sportiva non mi mancano: sono ancora in nazionale. Però, a questo giro, non l'ho spuntata. Commenterò le gare, su Discovery. E tiferò per gli azzurri, per i miei amici.

 

Stefano Tosi