Calcio - 26 luglio 2024, 17:28

Ferite e orgoglio, la verità di Stefano Pertile: «Sono nato con il Varese, morirò con il Varese. E continuerò a metterci la faccia»

È la prima stagione del Città di Varese senza uno dei suoi fondatori: gli abbiamo chiesto come sono andate le cose in questi 4 anni e lui ha risposto a ogni domanda. Alla Pertile, senza giri di parole. «Non firmerò la petizione per lo stadio perché permette l'anonimato. E perché, tanto, si farà a prescindere. La telefonata a Gigi Galli del Busto '81 quando non voleva più firmare, il peso di essere in difetto con Mapelli e Disabato, il muro biancorosso di Sanremo e il buio del pullman nel ritorno a casa quando mi apparve davvero... il Varese, la telefonata mancata di Marocco e l'ultima chiamata a Rosati senza risposta». E poi Sona, Carate, gli steward, i giocatori, gli allenatori, la squadra di quest'anno, quell'1% in società che fa la differenza e una certezza: «Questi sono il mio stadio e la mia squadra»

Stefano Pertile felice con i ragazzi della terza categoria e con quelli della salvezza a Sanremo. Qui sopra lo striscione di saluto della curva

Un incontro in pizzeria, ovviamente la Baita dello Stadio, finisce alle prime ore del mattino seduti su un pancone davanti alla curva sud e al "nostro" stadio, parlando  con il diretto interessato della prima stagione del Città di Varese dopo 5 anni senza uno dei fondatori del club in società: Stefano Pertile. Questa è la nostra chiacchierata senza giri di parole - con Pertile è impossibile non essere schietti e diretti, al limite della brutalità, ma è il bello della verità - dritti al cuore della sua esperienza, di cui non ha mai parlato se non salutando tutti con un post su Facebook, e dei colori amati da sempre e per sempre.

Stefano Pertile, hai firmato la petizione dello stadio?
No, per diversi motivi. Prima di tutto, perché sono sicuro che lo stadio si farà a prescindere dalla petizione, anche se non so il soggetto che lo realizzerà: inizieremo a scoprirlo all'aperture delle buste a inizio agosto (entro le ore 12 del 29 luglio scade il termine per presentare le manifestazioni di interesse con apertura delle buste giovedì 1° agosto alle 9 in Comune, ndr). Ne sono certo perché è il momento giusto e il Comune sa di non poter sbagliare una virgola. Se posso fare un appunto, io avrei fatto come vent'anni fa, quando in un mese per sostenere il nuovo stadio di Sogliano raccogliemmo 5 mila firme con nome e cognome di ognuno, andando in strada con i banchetti a spiegare il progetto e poi chiedendo la carta d'identità a ciascuno. Alla fine queste firme certificate sono state consegnate in Comune. Tra l'altro, vorrei sapere chi l'ha voluta questa petizione perché manca volto in carne ed ossa: noi, allora, costruimmo un comitato di tifosi. 

Hai lavorato con Iori, Sassarini, Rossi, Porro, De Paola, Cotta: cosa mi dici di loro?
Da tutti ho ricevuto molto e ho tuttora un buon rapporto con tutti. Mi sento calcisticamente più ricco e preparato perché tanti di loro hanno allenato e, prima, anche giocato nel calcio vero e nelle chiacchierate con me si sono aperti, riempiendo il mio piccolo bagaglio di queste quasi 170 partite al fianco di prima squadra e Juniores. Ho visto anche piangere qualcuno di loro e le parole che ho detto tra le lacrime a questa persona restano solo tra me e lui. Altri si sono stupiti di non trovare a Varese logistica, spazi e strutture che altrove sono la regola, ma questo è un altro discorso.

Mi racconti un aneddoto legato alla nascita del Città di Varese? 
Il giorno del compleanno di mia figlia, il 27 luglio 2019, Gigi Galli del Busto 81 ci aveva dato picche sulla fusione dei due club per partecipare alla D dopo un mese di contrattazioni e quattro incontri. Presi il telefono davanti a mia moglie Katia, ero inferocito: dandogli del lei e del "dottore", anche se non lo era, dissi a Galli con toni accesi che aveva preso in giro noi, la piazza, la città e i tifosi. Nel pomeriggio ci contattò e ci disse: lunedì venite da me e firmiamo perché telefonate come quelle di Pertile io non le posso accettare. Con il tempo ho provato anche un po' di dispiacere per quella chiamata perché Gigi Galli non è l'ultimo arrivato, di calcio e impresa ne sa, ma resta anche un po' di orgoglio pensando che forse un 1% del salto in serie D arrivò per quelle parole dette da un tifoso arrabbiato come lo ero io in quel momento.

In questi 4 anni sei stato ancora il Pertile tifoso che tutti conosciamo?
Spero di avere mantenuto fede a questa cosa che mi ero prefissato: fare ciò che sentivo, senza prendere ordini da nessuno. Quando hanno messo a correre sulla riga laterale delle Bustecche Mapelli e Disabato, dopo l'allenamento li chiamai perché non condividevo come era stata gestita la cosa e dissi: «Ragazzi, ditemi voi se restare o andarmene». Mi risposero: «Ste, lascia stare. Andiamo avanti». Per dirti il rapporto... Mapelli mi ha scritto dal mare qualche giorno fa e mi ha detto "Ste, se vado a giocare alla Varesina fai l'abbonamento?". "Non faccio a tessera ma vengo a vederti" la mia risposta. La verità è che io con Francesco e Donato mi sento in difetto e questa cosa me la porto dentro. Anche perché se fossero rimasti, insieme agli altri allontanati da lì a poco, ci saremmo sicuramente salvati, e lo avremmo fatto ben prima della fine. Se penso che sono stati lasciati andare via Minaj, Mamah, Cantatore, Di Renzo, Trombini, poi non si può piangere...

A Sanremo il Varese e i suoi tifosi erano davvero il Varese e i suoi tifosi che abbiamo sempre conosciuto: da serie B. Raccontaci un aneddoto della finale vinta.
Al ritorno prima di arrivare all'autogrill di Castronno dopo un viaggio di gioia e delirio, con il pullman trasformato in un carnevale, dico: "Ragazzi, mettiamoci a posto perché ci sono i tifosi che ci aspettano". Poco dopo cala il silenzio e, nella luce rossa soffusa del pullman, mi trovo seduto in mezzo a Porro, Neto, Gazo, Disabato, Mapelli e penso: "Qui scorre il Varese nel sangue, e ci sono anche io". In quel momento mi sono sentito un tifoso privilegiato perché potevo vivere da dentro tutto quello che ognuno di noi tifosi sogna di avere.

Ti sei mai commosso fino alle lacrime in questi anni?
A una semifinale della Juniores quando ho visto entrare dalla panchina e segnare dopo pochi minuti il figlio di uno storico tifoso del Varese, che lo portava sempre con sé alle partite fin da piccolo. In quel piccolo, grande gol ho visto tutta la forza di chi cresce con dentro questi colori. E poi quando sono uscito dallo spogliatoio di Sanremo e ho visto quel muro biancorosso: lì ho rivissuto l'emozione di Varese-Verona, quando senti la curva che bolle di emozione e canta un'ora prima dell'inizio. A Sanremo mi sono detto: "Siamo tornati. Tutto quello che poteva esserci, quel giorno c'era".

Dopo l'intervista di VareseSport in cui Rosati ha parlato di te, da diretto interessato di quelle dichiarazioni cosa dici, dunque?
Di me lascio parlare le persone che mi conoscono. Lo striscione di 20 metri allo stadio ("Accantonato per il tuo amore incondizionato, ciò che hai fatto per il Varese non sarà mai dimenticato", ndr), i messaggi sotto la foto del post Facebook in cui spiegavo che mi era stato chiesto di "non aiutare più il Varese". Non credo siano commenti dello stesso tenore di quelli ricevuti da quell'intervista. Potrei anche aggiungere che con Marocco, addetto stampa del Varese e direttore di VareseSport, avevo dormito un mese prima in camera in Liguria prima della sfida con la Sanremese, parlando del Varese fino alle 3 del mattino, e mi aspettavo quanto meno che di fronte a quell'intervista così "confezionata" mi chiamasse e mi dicesse: "Ma è andata veramente così?". Io gli avrei risposto: "Ti spiego come è andata".

Parliamo della sconfitta sul campo del Sona ultimo e retrocesso: il punto più basso di quella stagione.
Diciamo che se poteva andare storta una cosa, ne andavano storte due. Era la trasferta più lontana, ed era decisiva: proponemmo di partire il giorno prima della gara. Non andò così. La domenica arriviamo al pullman e troviamo la porta posteriore chiusa con una corda, il portabagagli non si apre, durante il viaggio si sente un assordante ronzio e, nel tragitto dal ristorante allo stadio, il bus inizia a perdere acqua. Se ci fossimo fermati, come avrebbe voluto fare l'autista, non saremmo più ripartiti. E, infatti, accadde proprio questo, con i giocatori sistemati un po' sul bus e un po' sulle auto dei tifosi al seguito.

Poi c'è stata la finale playout delle "porte basse" a Carate...
Ho la sensazione che la cosa fosse nota già da prima della partita. Com'è o come non è, il portiere Moleri alza la mano e segnala la traversa più bassa, ormai siamo in ballo e "balliamo" fino in fondo, quindi con Vincenzo Basso si va a prendere le misure della porta. In quel momento abbiamo perso la partita sul campo: i giocatori avversari si caricano e giocano alla morte, inferociti, i nostri percepiscono una situazione irregolare. È andata come è andata, la bottiglia di rum preparata per festeggiare serve per affogare le lacrime.

Qual è stato il rapporto con i giocatori?
Non ho mai avuto problemi con nessuno. C'è chi saluto e abbraccio, chi vado a vedere al campo appena è nei paraggi, da Foschiani a Pastore e Mapelli, c'è chi sento una volta a settimana e chi una volta al mese. Poi ci sono quelli che ho adottato a casa mia. L'ultima volta a cena sono arrivati Mandelli, Perissinotto e Benacquista... non ho mai invitato giocatori in base alla simpatia: per chi era da solo o lontano da casa, c'è sempre stato un posto a tavola. A cominciare dai ragazzi di Viggiù durante il Covid, da Minaj a Mamah, Truosolo, Scarpa, Bigini...

Perché il Varese ha perso pubblico?
Forse perché il Città di Varese non viene "percepito" o, almeno, non viene più percepito come se fosse il Varese, ma per me lo è fin dal primo giorno. Con un paradosso dico che senza il Città di Varese, il Varese sarebbe sparito. Infatti quando iscrivemmo la squadra in terza categoria, ci trovammo la curva e Passione Biancorossa a sostenerci alla prima partita.

La vita di Pertile al Varese com'era?
Il tragitto da casa su ogni campo, le chiamate dalla questura per la gestione dello stadio, l'accoglienza degli avversari e dell'arbitro, i giocatori da fare sentire a casa anche con le canzoni del pre partita, la sede da abbellire come se fosse casa mia, i gradoni dello stadio da numerare, le piccole grandi cose: la domenica arrivavo al Franco Ossola alle 9.30 e tornavo a casa alle 20, il sabato mattina rinunciavo al lavoro per la rifinitura. Per il Varese mi sono assunto responsabilità e ho fatto cose che in nessun'altra occasione avrei fatto, ma lo rifarei mille volte.

Torniamo al punto: dov'è nato il problema a tuo avviso?
Uscito dal Cda come vicepresidente come concordato, nessuno mi ha poi comunicato l'insediamento del nuovo vertice dirigenziale: per me era un passaggio fondamentale, anche solo per una questione di rapporti.
Inoltre, ad una mia richiesta chiara su una mancanza nei miei confronti della società, con cui avevo un accordo, chiedo spiegazioni a Rosati, il mio unico interlocutore sotto questo punto di vista. C'era già stato un episodio che mi aveva lasciato l'amaro in bocca e, cioè, la richiesta di fare togliere un like non gradito dal club, poi eliminato, da un articolo di giornale: quel like era stato messo da una persona a cui tengo per un motivo molto significativo e che per il Città di Varese è stata presente dal primo minuto. Tra l'altro, in quella richiesta si tirava in ballo Fuck the cancer, evento benefico da cui è nato tutto il gruppo steward... stentavo a credere quello che stavo leggendo.

A quel punto cosa succede?
Silenzio. Faccio tutta la trafila di chiamate con chi, nell'organigramma, poteva darmi la risposta. Ma nulla. Il sabato vado alla rifinitura per chiedere conto di persona a Rosati e non lo trovo. A quel punto comunico la mia decisione di autosospendermi finché non avrò risposta. La domenica sera, di ritorno dalla trasferta di Voghera, finalmente mi arriva un lungo messaggio in cui Rosati dice di non accettare queste forzature e mi chiede di non aiutare più il Varese.

E tu cosa rispondi?
Che anche io non accetto questo tipo di comportamento. Da lì percepisco che il mio percorso nel Città di Varese è finito. Il giorno dopo mi reco allo stadio a ritirare tutte la mia attrezzatura che mettevo a disposizione per la gestione del club durante le gare allo stadio.

Capitolo steward: da quel giorno i volontari e storici tifosi biancorossi che si erano occupati del servizio dal giorno della rinascita non sono più andati allo stadio. Come sono andate le cose?
Mando un messaggio sulla chat comune, spiegando cosa è successo. Il senso era questo: "Credo sia finita, non badate a me e se volete andate avanti". Eravamo un gruppo, però, e da quel giorno il gruppo aveva deciso di non esserci più.

Ora cosa vuoi dire a quel gruppo di steward che prima di tutto è un gruppo di amici?
Che sono dispiaciuto di quello che è successo soprattutto per loro. Con quel "gruppo" il Varese non ha mai preso nemmeno 100 euro di multa, gli arbitri si sono trovati bene nonostante quegli steward fossero, e sono ancora, tifosi.
Ricordo quando siamo andati a pulire lo stadio per due giorni prima dell'amichevole con l'Inter di due estati fa, ricevendo anche gli elogi dagli addetti comunali. Oppure quando spalammo il campo dalla neve per giocare l'unica partita in terza categoria allo stadio.

Se domani Pertile fosse chiamato a collaborare con un altro club, cosa risponderebbe?
Sicuramente non è una priorità, ma ascolterei quello che hanno da dirmi. Per me, contano le persone.

La squadra di quest'anno come ti sembra?
Sono stati presi giocatori forti, ma alla fine la differenza tra vincere non vincere - oltre a chi va in campo e allena - può farla quell'1% di piccole cose e persone decisive nei gangli della società, da un accompagnatore a un magazziniere e a un segretario, insomma da uno staff forte come lo è chi va in campo o allena. Mi è capitato un paio di volte di vedere il Piacenza: dal pullman scendono sei persone dello staff con divisa sociale... e se arriva il Novara al Franco Ossola, lo precedono i furgoni dei magazzinieri per portare tutto il materiale in spogliatoio... Credo che "essere il Varese" si debba vedere anche da un cambio di passo anche in queste cose. Ma magari è stato fatto.

Continuerai ad andare a vedere il Varese?
Ci andrò sicuramente con mia moglie Katia, e lo farò con più serenità. Vedrete ancora la mia faccia perché questo stadio è casa mia.

Andrea Confalonieri


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