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Calcio | 01 luglio 2024, 14:11

«È il fallimento del nostro sistema calcio, più che di Spalletti. Troppi stranieri, poche strutture e ancor meno investimenti nei vivai»

Rudy Vanoli, gaviratese, una vita da giocatore - anche con l'attuale ct a Udine - e allenatore: «L'ossatura dell'Inter, che ha dominato il campionato, non è bastata... Guardiamo a cosa accade in Slovenia, dove le scuole calcio costano meno e si possono tesserare al massimo 6 stranieri. E poi in Italia serve tirare fuori l'orgoglio e dare valore al merito, non sono nel calcio»

«È il fallimento del nostro sistema calcio, più che di Spalletti. Troppi stranieri, poche strutture e ancor meno investimenti nei vivai»

«Non c’è stata partita, ho visto mancanza di lucidità e una squadra priva di mordente. Spalletti è stato confuso nelle interviste e nell'interpretare i moduli, però da come lo conosco è tutt’altro che un improvvisatore, anzi è a dir poco maniacale: probabilmente essere ct, ruolo assolutamente non facile, gli ha tolto un poco di equilibrio nel contenere le emozioni e forse anche la pressione psicologia. Questo, più che il suo, è però il fallimento del nostro sistema calcio»: l'analisi è di Rudy Vanoli, gaviratese, nato da calciatore nel Varesotto (giovanili biancorosse, poi Solbiatese e Pro Patria) e poi in carriera, da giocatore, a Lecce, Udinese, Spal, Saronno, Como, Canobbiese e Chiasso, quindi da allenatore - tra l'altro - in Svizzera, Slovenia, Albania e Bulgaria.

Torniamo per un attimo alla partita: commento?

C’è poco da commentare, caro amico... Non c’è stata partita, ho visto grande confusione, mancanza di lucidità, una squadra priva di mordente. Conoscendo Spalletti  - ho avuto con lui una bella esperienza nell'Udinese - devo dire che anche lui era confuso, sia nelle interviste che nel fare applicare i moduli di gioco. II ct azzurro, da come lo conosco, è tutt’altro che un improvvisatore, anzi è molto maniacale nel far interpretare il suoi moduli che hanno dato ottimi risultati sia a Udine che a Roma e Napoli, solo per citare alcune piazze dove ha allenato. Probabilmente l’essere ct della nazionale, ruolo assolutamente non facile, gli ha tolto un poco di equilibrio nel contenere le emozioni e gestire la pressione psicologia.  Ma non bisogna addossare tutte le responsabilità allo staff tecnico: questo è l'ennesimo fallimento del sistema calcio. Se ne parla da anni, ma sinora si è fatto ben poco per cambiare. Troppi interessi in ballo, e questi sono i risultati. 

Forse i giocatori hanno poco tempo per vivere l’ambiente nazionale?

Questo è una degli aspetti, e per Spalletti a mio avviso è stato anche cruciale: nel fare applicare i suoi moduli, vista anche l’esperienza che ha avuto nei club, ha bisogno di più tempo. Però, insomma, in questa formazione c’era l’ossatura dell’Inter che ha dominato il campionato, ma non è bastata perché priva di incisività.

Spalletti avrebbe dovuto dimettersi?

A mio avviso, no: deve proseguire un percorso non facile, ma deve andare avanti.  Il vero problema in Italia sono i troppi stranieri che giocano, e anche la mancanza di strutture. Vedo ad esempio che in Slovenia le scuole calcio costano molto meno e si è creata intorno al sistema calcio una buona organizzazione dove ogni società può tesserare al massimo 6 stranieri. Questa tipologia di investimento sta dando i suoi frutti, cosi come in Austria e Svizzera.

Come vedi il calcio svizzero?

Beh, non è certo una novità, ma anche loro da anni stanno facendo investimenti a tappeto, soprattutto nei settori giovanili. Ho visto una bella squadra, compatta, dove la coralità del gruppo prevale sulla forza del singolo, e la volontà di emergere è protagonista.

Le favorite per l’Europeo?

Germania e Spagna, ma anche nazioni come Austria e Slovenia possono dire la loro ed essere protagoniste. 

Come può riscattarsi l'Italia?

Tirando fuori l’orgoglio e dando finalmente valore al merito, non solo nel calcio che è un po' lo specchio della nostra nazione, dove in questi ultimi vent’anni abbiamo purtroppo peggiorato su molti aspetti, vedi sanità, istruzione, sistema economico e sociale. Eppure nel 2006 a Berlino eravamo sul tetto del mondo: serve una reazione e uno scatto di cui siamo capaci.

Claudio Ferretti


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