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Calcio | 20 giugno 2024, 07:28

Il ritorno del "ct" Devis Mangia: «Oggi facciamo ciò che per la Spagna era normale 11 anni fa e i giovani bravi giocano. Spalletti maestro, Barella top player»

Intervista "europea" nel giorno della partitissima al tecnico che nel 2013 guidò l'Under 21 azzurra in finale contro gli iberici zeppi di talenti già affermati: «Sfidammo i giovani Carvajal, Nacho, Morata e Isco che contavano già 80 presenze in Champions con i nostri che ne vantavano 3... Pressing, costruzione e l'equilibrio di fare una corsa in più per non prendere gol: si vede l'organizzazione del nostro ct. La chiave? Liberare il talento offensivo imponderabile. Dei miei azzurrini oggi sarebbe perfetto Insigne, del mio Varese manca la capacità di essere una famiglia»

Devis Mangia, 50 anni, originario di Cernusco sul Naviglio

Devis Mangia, 50 anni, originario di Cernusco sul Naviglio

È il ct della finale Italia-Spagna nell'Europeo under 21 del 2013, finita 4-2 per gli iberici pieni zeppi di talenti già titolari nelle loro squadre di club, a differenza dei nostri di allora («Da una parte c'erano 80 presenze in Champions, dall'altra le nostre 3, tutte di Insigne»), ed è anche l'allenatore che iniziò a chiudere la distanza tra ciò che per la Spagna era già normale 11 anni fa e per noi non ancora (una filosofia di gioco trasferita dal basso all'alto, passando per le squadre di club, o il fatto che i giovani bravi giocano, a qualunque livello e in qualunque squadra, anche in Champions) ma, soprattutto, è semplicemente Devis Mangia, 50 anni, originario di Cernusco sul Naviglio, cioè colui che venne così descritto da Arrigo Sacchi: «Un bravo allenatore con una testa moderna, che crede fermamente che il calcio sia uno sport di squadra e che la palla è meglio averla che lasciarla agli altri. È un tecnico che pensa, che ha equilibrio e soprattutto idee molto chiare». Parole che non si cancellano e che ci hanno riportato da lui, dopo tanto tempo, per farci "leggere" ciò che sa analizzare come pochi altri: il calcio, il gioco, le squadre, le partite. E, in particolare, l'Europeo e Italia-Spagna di questa sera alle 21 a Gelsenkirchen.

Da Italia-Spagna a Italia-Spagna, 11 anni dopo: cosa significa per Devis Mangia questa partita?
A prescindere dal risultato e da quel 4-2, certe partite conta arrivare a giocarsele. Quel match è nell'elenco dei miei momenti calcistici più belli, insieme alla promozione dalla D alla C e alla salvezza con il Varese, all'annata con la Primavera sempre dei biancorossi, all'esordio in serie A e alle cose buone fatte anche all'estero: vincere un trofeo con un club che da più di 25 anni non vinceva e fare cose positive con una nazionale non tra le più rinomate. È tutto in un cassettino...

Com'erano quell'Italia e quella Spagna di undici anni fa? 
Tutte e due le squadre erano mosse dall'idea di giocarsi la partita. Per la Spagna era una cosa normale: loro hanno una filosofia ben delineata in tutto il percorso delle nazionali, una filosofia che raggiunge il culmine con l’Under 21 per poi essere trasferita nella nazionale maggiore. Per noi italiani è normale oggi, ma 11 anni nel calcio sono un’era geologica: all’epoca si iniziava ad avere una visione comune all’interno delle selezioni azzurre, ma nei campionati non si trovava lo stesso pensiero...

Un'altra differenza tra "noi" e "loro"?
Quella Spagna Under 21 campione d'Europa aveva già all'epoca giocatori affermati nei club, anche a livello internazionale. Facemmo una statistica: mettendo insieme tutta la rosa, noi avevamo tre presenze in Champions (di Verratti), loro ne avevano oltre 80. C'erano Carvajal, Nacho e Morata, oggi ancora titolari nella Spagna. Da loro i giocatori bravi li facevano giocare, da noi no: guardi oggi certi nomi di allora e pensi "però, bravi", ma la verità è che Insigne giocava poco nel Napoli, Immobile non aveva grande spazio e fiducia a Genova e forse solo Florenzi già stava in campo abbastanza nella Roma. La verità è che erano tutti giocatori al primo anno di vera vetrina: avevano fatto bene in B, come il trio del Pescara di Zeman, ma non avevano avuto ancora la chance di potersi mostrare a certi livelli.

Due modi di giocare a confronto: come erano allora e come sono oggi?
L'idea di giocare, costruire e avere il possesso c'era già anche da noi. Era un calcio diverso, però: c'era un po' più di rigidità nei sistemi di gioco, che oggi le squadre più evolute non hanno più. Oggi tutti difendono e tutti costruiscono, c'è più imprevedibilità: un giocatore che prende una posizione in uno sviluppo di azione rispetto a un altro sviluppo di azione può diventare la sorpresa che spiazza gli avversari. Si cerca di più a liberare il talento nel contesto di una squadra organizzata. Rispetto a quegli anni, la Spagna ha continuato sulla sua strada con un po' più di verticalità e un po' meno possesso, lo si è visto anche nella prima partita contro la Croazia; noi invece ci stiamo indirizzando sull'avere una squadra che lavori molto su pressione e costruzione, modificando nelle fasi di gioco la posizione dei giocatori, e questo è determinato dal fatto che abbiamo un maestro come commissario tecnico e dal fatto che tante squadre in Italia nelle ultime stagioni, ed è stato molto evidente in quella appena andata in archivio, sono andate in questa direzione.

Di quella Spagna tanti hanno avuto carriere da top player (Carvajal, Nacho, Morata, Thiago Alcantara che alla sua Italia fece tre gol, Isco...): chi ti impressionò in particolare?
Vista la qualità, Thiago Alcantara, Isco e Morata. Si vedeva già che erano diversi. Isco aveva già fatto un buon numero di gol in Champions con il Malaga. Anche noi avevamo qualcuno che era evidente avesse qualcosa in più degli altri, ma la differenza era che quel qualcuno non aveva ancora avuto lo spazio per dimostrare ciò che poi ha dimostrato. 

Di quella tua giovane Italia chi sarebbe perfetto nell'Italia di oggi?
Come qualità direi sicuramente Insigne. Che avrebbe modificato anche alcune sue caratteristiche in funzione del calcio attuale, diverso da quello di 10 anni fa. Perché è un campione.

Veniamo a stasera: che partita ti aspetti?
Sono molto curioso di capire le scelte che faranno i due allenatori: credo che non andranno a tradire la strada già intrapresa. Poi, sai, ormai è difficile trovare squadre che non siano organizzate: la differenza la fanno quei determinati giocatori che hanno qualcosa in più. Quando liberano il loro talento all'interno di una squadra organizzata, poi emergono i Bellingham o giocatori di quel livello lì, quelli che spostano gli equilibri. L'esempio lampante fu una delle prime partite della nazionale di Spalletti, contro l'Inghilterra: giocammo una buona gara, poi venne fuori la differenza di cui sopra a loro favore. L'esuberanza, anzi la potenza, meglio: certi giocatori hanno una cilindrata di livello incredibile.

Sarà così sbilanciata la partita di oggi?
Se la prepariamo nel modo in cui sono convinto che la prepareremo, le differenze si ridurranno, e a quel punto deciderà l'imponderabilità. A livello di idea di gioco, noi abbiamo già fatto vedere qualcosa di diverso: dal punto di vista estetico, a me è piaciuta soprattutto l'Italia del primo tempo contro l'Albania.

Cosa fa la differenza in sfide come questa?

La differenza sarà in due aspetti, la pressione e la costruzione. La pressione nell'agire, anche nella riconquista della palla, e la costruzione: se manca qualcosa in questi due aspetti, può venire fuori la qualità del singolo avversario e allora fai fatica.

Chi sono secondo te il top player e la sorpresa di quest'Italia?
Il top, con l'evoluzione che ha avuto negli ultimi due anni, è Barella. La sorpresa mi auguro che sarà un giocatore offensivo, perché vorrà dire che qualcuno avrà fatto gol, e la differenza si fa lì. Chi ha i giocatori bravi davanti alla fine la porta a casa.

Tutti dicono Germania, Francia, Spagna e Inghilterra: la Coppa andrà a finire tra queste mani?
Sono tutte squadre che hanno una qualità offensiva importante, perché la Francia potrebbe mettere in campo due squadre che si giocherebbero entrambe la vittoria dell'Europeo, pur con un calcio più semplice ma con giocatori di livello incredibile... L'Inghilterra ha Bellingham e via discorrendo, la Spagna ha giocatori affermati, la Germania ha cambiato negli anni le sue caratteristiche tipiche, trovando qualità anche davanti. Se gli attacchi sono di questo livello, la differenza la farà chi sarà più "equilibrato" e cioè chi avrà la voglia di fare una corsa in più se hai perso palla e non vuoi prendere gol. Conterà questo.

La vittoria dell'Italia di Mancini fu inaspettata: c'è qualcuno che può replicarla, arrivando in semifinale?
Spero in una squadra con una maglia azzurra, ma oggi è presto per tirare fuori una sorpresa: mi sono piaciute sotto alcuni punti di vista, ma non completamente nella fase di non possesso, Portogallo e Olanda.

Cosa fa adesso Mangia?
Sono a casa, presto andrò con mia moglie Delia nel Salento a casa dei suoi. Per il resto il calcio è sempre una passione: mi guardo le partite, poi si vedrà.

Segui il Varese?
Il Varese lo seguo particolarmente attraverso il vostro giornale e attraverso le telefonate di qualcuno che posso definire amico.

Cosa manca e cosa ti manca del tuo Varese?
Il fatto di essere famiglia. Non ho mai ritrovato quella famiglia che c'era allora. Era una cosa diversa, c'era unità tra tutte le componenti: club, prima squadra, settore giovanile, stampa, tifosi erano tutti una cosa sola che ti sentivi addosso. La differenza la facevano le persone, perché sono le persone che creano questo: Sean, Beppe, Giorgio, che peraltro sono anche quelli con cui vivevo il Varese maggiormente. E tutto questo al di là della magia che a volte c'è nell'aria al Varese...

Andrea Confalonieri


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