Il Varese nel destino, nella buona e nella cattiva sorte. Il Varese che rimane lì, dentro l’anima, e non se ne va più.
Leònidas Neto Pereira de Sousa, 45 anni, dalle strade brasiliane al Franco Ossola, 154 presenze e 31 gol dal 2010 al 2015, dalle stelle della Serie B alla polvere della mancata iscrizione al campionato, dalle reti indimenticabili agli infortuni che gli affibbiarono il soprannome di Swarovski.
Ripercorrere a parole quegli anni - e la successiva esperienza in panchina come vice di Ezio Rossi e, poi, di Gianluca Porro - significa parlare di amicizie, maestri, ricordi. E di porte che si aprono, senza la dea bendata dall’altra parte.
Neto, come è arrivato a Varese?
«È venuto a vedermi Silvio Papini, su indicazione di Sogliano, e da quel momento è iniziata tutta la mia storia calcistica e di vita. Varese per me era ed è importante per le numerose soddisfazioni calcistiche, per le amicizie, e perché ho trovato la mia compagna di vita Elena, che mi ha regalato due stupendi bambini, Bianca, 7 anni, e Theo, nato da qualche mese. Anzi esattamente il 30 marzo, giorno del compleanno del mio amico "Papo"… Sarà una coincidenza...».
Il suo rapporto con Ebagua spesso romanzato dai tifosi?
«Giulio è molto buono, abbiamo due caratteri differenti, ma siamo sempre andati d’accordo. Non c’è mai stata rivalità, anzi…. Devo dire che nel tempo è nata anche una bella amicizia, ci sentiamo ancora oggi spesso. Giulio è fratello».
Con chi è rimasto in contatto con i compagni di allora?
«Tramite social quasi tutti, mentre spesso sento Corti, Zecchin, Bressan e Pavoletti. Ne approfitto per mandare a "Pavo" i complimenti per la salvezza del suo Cagliari».
Con gli allenatori è rimasto un buon rapporto?
«Certamente, con Maran e Bettinelli spesso ci sentiamo, sono due meravigliose persone che mi hanno dato tanto sia dal profilo umano che professionale. Con Sannino ci vediamo. Beppe è un grande saggio per me, è stato di grande esempio in tutto».
Dopo aver allenato ti sei rimesso a giocare...
«Ho fatto un'esperienza da vice allenatore dove ho messo a disposizione la mia esperienza da calciatore e quello che ho appreso dai miei maestri. Con Ezio Rossi mi sono trovato benissimo. Adesso ho ricominciato a giocare qualche partita con l’Olimpia Tresiana, grazie al grande legame e all'amicizia con il presidente Rinaldi. Gioco, mi diverto, cerco di portare la mia esperienza ai giovani e mi tengo in forma».
A proposito di giovani, a loro cosa consigli?
«Prima di tutto di studiare, poi di iniziare a giocare al calcio per passione, non pensando di arrivare al professionismo. Il calcio è uno sport di gruppo che crea socializzazione. Bisogna giocare solo se si ha il piacere di farlo, e non per far piacere ai genitori».
Un tuo giudizio sul Varese?
«Lo seguo, da tifoso e da varesino. Credo che sia ancora in costruzione il progetto di far crescere la società per arrivare ai livelli che i tifosi si aspettano. Mi auguro presto di vedere il Franco Ossola pieno come nella finale con la Sampdoria».
A proposito, sogni ancora quella finale?
«Credimi, ancora oggi a parlarne mi viene rabbia. Tante volte penso a come sarebbe andata se quella partita fosse finita diversamente. Ma forse era già tutto scritto: la dea bendata quella sera non è passata dal Franco Ossola».