Caro Andrea,
mi frega sempre la voglia di dare dei nomi alle cose, alle situazioni, alle persone. E ora tocca anche a te, “capitan passo indietro”. Perché dopo averti conosciuto bene, dopo averlo fatto lontano dal ghiaccio e dopo averti ascoltato, è proprio questo il modo in cui mi viene da pensare a te. Un passo indietro: che è un modo di vivere (di giocare a hockey, di essere uomo e capitano, di essere Mastino) bellissimo, e che non è cosa per tutti.
Un passo indietro come ha sempre fatto tuo papà Fabio. Fin da quando hai iniziato questo meraviglioso viaggio e pattinavi inseguendo un disco e allo stesso tempo inseguendo un sogno enorme (le Olimpiadi di Vancouver 2010, avevi in testa solo quello: vero?). Lui, sempre presente in tribuna perché non ha perso una delle tue partite, ma ogni volta seduto in disparte: lontano dal chiasso, lontano dagli altri genitori, lontano dal tuo sogno perché quel sogno era solo tuo e di nessun altro. E oggi, me l’hai raccontato tu, è ancora così: con tuo papà che si mette là in un angolo, sempre lo stesso, dove tu lo vai a cercare con lo sguardo prima del primo ingaggio sicuro di trovarlo. Le Olimpiadi di Vancouver non sono arrivate, ma nel tuo rincorrere quel sogno sono comunque successe tante cose bellissime che forse valgono più di un’Olimpiade.
Un passo indietro come fa un vero capitano. Lasciando ai suoi ragazzi le luci della ribalta e i primi applausi della gente, nascondendosi di fronte ai flash dei fotografi, poco avvezzo ai festeggiamenti e allergico alle celebrazioni. Ma pronto a trasformare quel passo indietro in un passo avanti quando è il momento di alzare la faccia e difendere tutto quello in cui si crede, anche a costo di prendersi una bordata di fischi o un cazzotto in faccia: difendere la maglia, i compagni, il nome della città, l’onore.
Un passo indietro come fa un uomo che sa dare il giusto valore alle cose. Che torna da una trasferta in Alto Adige a notte fonda e il giorno dopo alle otto e mezza è comunque in ufficio a fare il proprio dovere. Che non salta un allenamento nemmeno se glielo chiedesse il Padreterno perché significherebbe mancare di rispetto ai compagni e ai tifosi. Che dopo tre ore passate a combattere sul ghiaccio non si toglie i pattini ma resta in pista ancora un po’, a divertirsi con il suo nipotino e con tutti gli altri bambini che vivono quel momento come il più bello del mondo.
Caro “capitan passo indietro”, in una serata passata insieme in quel teatro ad Azzate ho visto i tuoi occhi bagnarsi di commozione mentre raccontavi di quanto sia bello vincere con la maglia della tua città davanti alla tua gente. Tu hai cercato di nascondere quelle lacrime perché, va bene tutto, ma un giocatore di hockey non può mica farsi vedere mentre piange. Però tutti quelli che erano lì con noi ad ascoltarti quelle lacrime le hanno intraviste e le hanno fatte proprie. Perché essere un passo indietro significa anche regalare agli altri un po’ delle proprie emozioni.
Io non lo so cosa succederà. Non lo so se i Mastini vinceranno ancora, non so in che modo lo faranno, non so contro quale avversario e chi segnerà la rete decisiva. So che qualunque cosa accadrà, saprò dove trovarti: un passo indietro, ma allo stesso tempo cento passi avanti a tutti.