C’era una volta il signor Carlo Ghezzi da Cusano Milanino, aviatore nella Grande Guerra, che arrivato a Varese nel 1919 assieme ai fratelli Angelo e Fortunato, pensò bene di rilevare l’antica Pasticceria Vanetti, in corso Vittorio Emanuele, lì dal 1860, quando ai tempi delle cacce in brughiera i cavalieri arrivavano stanchi e sudati, legavano il corsiere alle colonne del porticato ed entravano a farsi un cordiale. Carlo aveva un’idea romantica della pasticceria, così mantenne il forno al terzo piano dello stabile, perché voleva lavorare guardando il cielo e il Sacro Monte.
Gabriela Ghezzi, la nipote del fondatore di quello che rimane un punto cardine della Varese elegante e golosa, lo racconta seduta a uno dei tavoli dell’arredamento originale, realizzato a mano alla fine degli anni Venti da Pietro Valsassina, un artigiano di Cusano Milanino provetto ebanista e amico di nonno Carlo.
«I due lampadari a gocce del locale erano avanzati dall’ordinazione fatta dal Teatro alla Scala di Milano, e quando il tempio della lirica fu bombardato, i tecnici della ditta tedesca che li costruiva vennero da noi a ricopiarli per rifarli esattamente uguali. Le luci della vetrina invece, in origine a gas, illuminavano i primi tram milanesi. Quando il nonno entrò al posto della Vanetti, il locale era diviso in due parti, quella per la vendita e la sala da thè, come usava nell’Ottocento. Quanto al forno, è ancora al terzo piano, come un tempo», spiega Gabriela Ghezzi, un passato di insegnante di Educazione fisica alla scuola “Vittoria Colonna” di Milano, accanto al Conservatorio “Giuseppe Verdi”.
Se il décor è sempre lo stesso da decenni, sono invece cambiati i gusti degli avventori, e così alcune specialità della casa non sono più prodotte. «Tradizione vuole che l’8 dicembre si allestisca la vetrina con i fondant colorati, prodotti da noi con una lunga lavorazione, e il cuore di gelatina di albicocca. Oggi avrebbero poco mercato e non potremmo più permetterci tempi così lunghi, perché in laboratorio contiamo due o tre persone contro le cinque di un tempo. Fortunato, il fratello del nonno, era un talento della pasticceria, fu lui a inventare i fondant di zucchero. Creò quasi 300 stampi in gesso, intagliandoli a mano uno per uno come piccole sculture. Anche la cotognata non si fa più, i giovani non saprebbero nemmeno riconoscerla. Però non manca il “pan meìn”, impastato per la festa di San Giorgio in aprile e in altri periodi dell’anno, e anche il pan d’anice, che siamo gli unici a fare».
In negozio, oltre a Gabriela, lavorano i due figli, Pietro e Matteo, il marito Michele Marelli e le collaboratrici Alice, Marta, Enrica e Veronica.
«Entrambi hanno frequentato la scuola alberghiera, Pietro sta in laboratorio, e ha lavorato in passato alla Tana d’Orso e al Panorama Golf, mentre Matteo si divide tra il negozio e la pasticceria. Le specialità più gettonate sono indubbiamente le meringhe con la panna e la crema cotta, ma tengono botta anche il Dolce Varese, i brutti e buoni e adesso il panettone artigianale, che inforniamo settimanalmente. I nostri sono prodotti che vanno consumati subito, il panettone abbiamo incominciato a produrlo soltanto una settimana fa».
Nel corso degli anni i clienti illustri non sono mancati, da Gabriele d’Annunzio, Luigi Cadorna, al conte Caproni, ai giornalisti Luigi Barzini sr. e Luigi Albertini, fino a Liala, Guido Piovene e Guido Morselli, Alfredo Binda, agli attori Gandusio, Ruggeri, Dina Galli, e a Renato Guttuso, che arrivava con la moglie Mimise.
«Per me i clienti sono tutti uguali, da qui passano anche molti turisti, ma per fortuna non mancano i giovani. Varese è cambiata, quando ero adolescente si usava “fare le vasche” in corso Matteotti in ogni giorno della settimana. Ogni gruppetto di amici aveva la sua colonna e alle cinque del pomeriggio ci si ritrovava per chiacchierare. Oggi il corso è affollato soltanto il sabato e i vecchi negozi sono scomparsi», aggiunge Gabriela Ghezzi.
Se molti articoli, come per esempio le fette biscottate, non vengono più prodotti, altri sono acquistati da ditte specializzate: «Quest’anno non abbiamo fatto la vetrina con i fondant, ma vorrei rispettare la tradizione il prossimo anno. Ora li acquistiamo, come del resto le gocce di rosolio di Leone e le violette candite, molto richieste con e senza i marron glacés, che arrivano dalla Francia. Una nostra specialità è la brioche con la marmellata ai petali di rose e albicocca. Produciamo anche pizzette e focacce con uno speciale pane al latte e panini imbottiti», dice Gabriela, figlia di Martino Ghezzi, in gioventù campione italiano di ginnastica artistica.
Mentre stiamo fotografando il locale, arriva la signora Maria Caterina Cerovaz, 83 anni, la moglie di Martino Ghezzi e madre di Gabriela, che ha trascorso 50 anni in negozio trasmettendo ai nipoti anche l’arte di impacchettare i dolci. L’ultimo ricordo è suo: «Sono istriana d’origine, e in palestra incontrai il mio futuro marito, che si allenava nella squadra pre olimpica. Ci sposammo nel 1965. Di notte salivamo in laboratorio e sbucciavamo le castagne che sarebbero diventate marron glacés. Da noi passava tutta la noblesse milanese, allora c’erano più rispetto ed eleganza».