L’attesa durerà ancora poco. Giovedì 30 novembre, alle 18.30, il Comune di Casciago aprirà le porte della propria sede di Villa Castelbarco Albani, da qualche giorno avvolta da impalcature che segnalano l’inizio di un importante lavoro di restauro delle facciate. La serata sarà occasione per condividere con i cittadini e con tutto il territorio una realizzazione che sta molto a cuore all’amministrazione comunale.
Saranno gli architetti dello Studio Bertolini Galli, incaricati del progetto, a raccontare ed illustrare le ricerche che hanno indirizzato le scelte compiute per il restauro, ma anche l’affascinante storia della Villa e del suo straordinario ed eclettico primo proprietario, il Conte Paolo Andreani.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarli entrambi, in esclusiva, per avere dalla loro viva voce qualche curiosa anticipazione su un progetto che nasconde tante storie straordinariamente recuperate dallo studio dei due professionisti. Uno storytelling interessante che sarà l’anima della presentazione del 30 novembre nella bella Sala dei Papi del Palazzo municipale. Ci accomodiamo con loro nella splendida sala del palazzo che ospita lo studio del sindaco.
“Ricostruire e restaurare è collaborare con il tempo”. Il nostro colloquio inizia con una citazione famosa e dal sapore romantico dell’architetto Alberto Bertolini quasi a rompere il ghiaccio e a testimonianza di una cifra stilistica che i due professionisti intendono trasferire anche a questa nuova sfida come, appunto, ci sveleranno in seguito.
Partiamo da lei, architetto Bertolini. Che cosa vi ha fatto innamorare di questo progetto?
Il tema del restauro di una parte di questo edificio riguarda le facciate di un corpo di fabbrica che era all’origine di tutta questa villa. E dietro queste facciate c’è una storia incredibile, che non è la storia delle pietre, dell’intonaco e degli ambienti ma del personaggio chiave di questa villa, il nobile Paolo Andreani di cui quest’anno ricorrono i 200 anni dalla scomparsa. Nel 1796, Andreani comprò una quantità di territori incredibile nella zona circostante, incluso questo edificio con pianta rettangolare a scopo rurale. Sempre in quell’anno decise di trasformarla in una villa delle meraviglie. Ci siamo innamorati dell’idea di questo facoltoso, originale e talentuoso uomo che per primo volò su una mongolfiera in Italia, come un astronauta di oggi! L’innamoramento nasce proprio da tutta la storia che sta dietro a questo edificio, un’attrazione che ha preso vita dalla ricerca che peraltro dedichiamo sempre ad ogni nostro singolo progetto.
Qual è stata la scoperta più importante che avete fatto nello studiare il palazzo, ancor prima di pensare al progetto esecutivo di recupero?
Grazie alla ricerca, si ricostruiscono dei momenti di storia importantissimi; talvolta si è fortunati, talvolta meno. In questo caso, abbiamo in realtà scoperto qualcosa che non c’era.
In che senso?
Attraverso lo studio, abbiamo ritrovato un disegno di come avrebbe dovuto essere la facciata disegnata dal famoso architetto Leopoldo Pollack, amico di famiglia degli Andreani e allievo del Piermarini. Era una facciata estremamente rappresentativa e all’avanguardia per il periodo del neoclassicismo. Che cosa abbiamo scoperto? Dal libro della nostra amica e professoressa Francesca Nicodemi, l’unico libro esaustivo su questo edificio, la cosa più incredibile è stata quella di trovare il prospetto della villa che, una volta recuperato dagli archivi disponibili, ci ha riservato una sorpresa. Intanto, la dicitura riportata sul disegno era quella di “Paolo Andreani, disegni di architettura”, cosa improbabile data la perizia tecnica con cui è stato fatto il disegno stesso. Era la prima prova provata che l’edificio, nonostante l’incertezza sull’autore finora sostenuta, era opera di un grande architetto e non di un amatore. Dallo studio del prospetto, la scansione delle finestre è risultata esattamente quella che abbiamo rilevato sulla facciata. Poi abbiamo scavato sotto l’intonaco cercando tracce di eventuali lesene tra le finestre, proprio perché, questo eccessivo spazio serviva, a nostro avviso, per raccogliere una partitura decorativa, quella che vediamo nel disegno. Quindi, per arrivare al punto, la più grande sorpresa è stata quella di non aver trovato nulla. La facciata non è mai stata finita, vuoi perché nel frattempo il conte era deceduto, vuoi per le precedenti difficoltà finanziarie che i costi del progetto avevano determinato.
Architetto Alessandra Galli, quale sarà la parte più delicata del progetto in essere?
Noi andremo ad eliminare di tutti gli elementi non originali della facciata e a valorizzare tutti i dettagli originali, compreso l’apparato decorativo, presenti sulla stessa – cimase, modanature e parti in pietra. Cercheremo di riportare la facciata il più vicino possibile al punto in cui è stata lasciata. Non vogliamo riproporre la ricostruzione delle lesene, dei capitelli o dell’apparato decorativo previsto dal disegno ma riportare l’edificio alle origini. La discussione verte anche molto sul colore perché abbiamo trovato quattro strati e, da una prima ricostruzione fatta con una consulente restauratrice, il bianco grigio sembra proprio essere quello originale. Lo abbiamo capito anche dalla composizione materica dell’intonachino. Sempre con la consulente, abbiamo analizzato le altre facciate esistenti e riscontrato come il colore corrispondesse proprio all’ultimo strato trovato sulla facciata oggetto del restauro. Stesso discorso di ricostruzione storica vale per gli infissi dell’edificio. Quindi dovremo cercare il più possibile di recuperare la storia dell’edificio lasciando lo stesso incompiuto, ma restaurato, nel rispetto di quanto la sua storia ci ha insegnato.
Credo che questa sia anche la vostra visione ideale di restauro? È così Bertolini?
Dare il più lungo avvenire possibile all’edificio recuperando il più possibile la sua storia. Come già anticipavo a inizio intervista, c’è una frase che meglio di tutte racconta la nostra visione ed è quella in cui in “Memorie di Adriano”, l’autrice Marguerite Yourcenar parla di che cosa vuol dire restaurare e costruire. Yourcenar dice a riguardo: “Costruire e restaurare è collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato e fare in modo che un edificio abbia un più lungo avvenire”. È esattamente quello che cerchiamo di fare.
A suo avviso, manca una cultura del restauro in Italia?
In Italia la cultura del restauro è stata importata. A scoprire il nostro paese sono stati, nell’Ottocento, i tedeschi, gli inglesi e i francesi. Cosa vuol dire questo? L’Italia ha un approccio culturale giovane che si vede in tutte le mosse culturali che fa il nostro paese. Non c’è una consapevolezza concreta di cosa sia il nostro patrimonio, sembra sempre che tutti si muovano su un terreno scivoloso. Fino agli ottanta si abbandonava tutto o si sostituiva, addirittura si buttavano giù edifici medievali nei centri storici. Sono stati sempre gli stranieri a guardare con un occhio più clinico e meno coinvolto il nostro patrimonio. Poi, voglio anche dire che, come approccio al restauro, gli italiani sono tra i migliori al mondo. Abbiamo maestri di restauro straordinari. È un problema di cultura e dipende spesso dalla committenza.
Architetto Galli, che cosa vi aspettate di suscitare nella cittadinanza a fine recupero?
Una maggiore attrazione verso questo edifico, per la sua storia e per le contraddizioni come, ad esempio, la facciata non finita che noi, appunto non finiremo.
Appuntamento il 30 novembre alle 18.30 presso la sala dei Papi del Municipio di Casciago per continuare nella meravigliosa scoperta del restauro della Villa Castelbarco Albani e della vita straordinaria del suo proprietario.