Guardatela la foto di copertina del nostro fotografo Fabio Averna, cui vanno i complimenti per aver fatto il meglio che un fotografo possa fare: cogliere l’attimo nell’attimo.
L’attimo di un gesto tecnico non solo bello, non solo utile, ma anche tanto estraneo alla “grazia” cui il suo autore ci ha abituato. E l’attimo di una reazione, ad accompagnare il gesto tecnico, che “parla” di grinta, di cattiveria agonistica, di rabbia repressa che viene finalmente fuori, di reazione, di attivo invece che passivo.
È a metà strada Willie Cauley-Stein, come Varese, che per la prima volta - ed è questa la notizia - è stata finalmente sua. I numeri dicono che quella contro Scafati non sia stata la sua miglior prestazione, ma a noi pare lampante di quanto essi mentano almeno su un punto, il più importante: oggi i numeri di WCS hanno fatto scopa con l’utilità per la squadra. Ed è una scopa fatta con il 7 bello, perché è l’unica cosa che alla fine conta visto che il basket è uno sport collettivo e non individuale.
Cosa farsene di doppie-doppie personali se Varese perde, se gli avversari la triturano da sotto, se tutti i palloni vaganti arrivano a qualcun altro, se le posizioni difensive sono sbagliate, se la protezione delle plance è un optional, se da sotto si sbagliano i rigori e non per cattiva tecnica ma per spirito? Questo è stato il Cauley-Stein visto fin qui nella stagione e nel tragico primo tempo di oggi.
E allora sono arrivati i fischi. Netti, sonori, difficilmente equivocabili, diffusi. A lui e poi all’allenatore, reo di averlo rimesso in campo forse più attento al cronometro che al respiro autentico del match: in quel momento l’area era di Scott Ulaneo, e probabilmente sua doveva restare. Masnago sa essere piuma e allo stesso tempo ferro, per parafrasare un fortunato film di Verdone: non gliela puoi “raccontare”, ha visto troppo basket e di altissimo livello, e non accetta pressapochismi, mollezze, improvvisazioni.
Quando anche la vox populi l’ha stanato, a un passo dal baratro, WCS è clamorosamente risorto e si è portato dietro una squadra che mai nel primo tempo era riuscita a cambiare l’inerzia del match, nemmeno con le positività di Ulaneo in contumacia Willie. L’ex NBA è partito dalla difesa, con una serie di "no" sputati in faccia agli attaccanti ospiti che - e siam sempre allo stesso punto - il tabellino ha colto solo in parte: il foglio rosa parla di una sola stoppata, gli occhi narrano invece di intimidazioni, di presenza, di tiri degli avversari che cambiano necessariamente parabola ed escono, di aiuti e di grinta. Tutto in serie. E dall’altra parte sono stati 8 punti quasi in fila, sono stati tagli fatti bene, sono stati "dettati" per i compagni che hanno dovuto fare l’assist, sono stati schiacciate, sono stati dominio.
L’Itelyum Arena si è stropicciata gli occhi, incredula. E Varese-Scafati è girata lì, la partita ha cambiato versante come un fiume che invece di sfociare nel Mediterraneo finisce nel Mar Nero. E non importa che la formazione di Sacripanti sia arrivata a un nonnulla dal portarla via: come un fiume, per definizione inesorabile e non correggibile nella sua direzione, la vittoria è arrivata comunque nel mare prealpino.
Willie Cauley-Stein è lo specchio di questa squadra ancora a metà strada tra il bene il male. Di questa squadra che non ha un regista di ruolo e un animale da pick and roll, ma oggi ha chiuso con una caterva di giochi a due andati a buon fine e solo (record stagionale) 20 tiri da tre. Di questa squadra che ancora si spegne e si butta via, ma oggi è assomigliata tanto a quella dello scorso anno… che alla fine vinceva. Di questa squadra che ha un allenatore che si prende il lusso di non chiamare timeout con un 8-0 di parziale subito in un finale drammatico, ma trova la ragione del successo, la stessa che alla fine trovava spesso e volentieri Matt Brase con gli stessi metodi.
Di questa squadra che è ancora a metà strada, sì, ma ora sembra finalmente “sulla” strada.