Questa mattina in tribunale a Busto Arsizio si è tenuta, per il terzo anno consecutivo, la commemorazione del giudice Rosario Livatino (vittima di mafia) con la benedizione ai lavoratori del palagiustizia cittadino.
A celebrala don David Maria Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio, insieme al cancelliere dell’arcivescovo di Milano monsignor Mosconi, alla presenza di autorità e forze dell’ordine.
«Per il terzo anno abbiamo la possibilità di un momento di preghiera – ha detto don David – chi sta qui è a contatto, tutti i giorni, con il male e quindi abbiamo bisogno della benedizione del Signore». Poi, il salmo e il Vangelo secondo Giovanni, con il passo perfetto, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, che venne ripreso anche negli scritti del giudice Livatino, letti subito dopo.
A seguire un momento molto toccante, l’intervento del primo cugino, Salvatore Insenga: «Quello che mi viene da dire in questo momento sono ricordi personali, ma anche tutto quello che ci siamo persi io e lui. Avevo 20 anni quando è stato ucciso, non ho potuto condividere molte cose».
Poi il giorno della beatificazione, in cui ha portato la camicia di Rosario: «Quando me la sono ritrovata in mano da portare in processione è stato un momento particolare. L’ultima volta che l’ho visto era un bellissimo giorno di maggio, ci abbracciammo e ci salutammo per rivederci dopo l’estate. Quell’incontro non c’è mai più stato. A distanza di 30 anni, con quella camicia è stato come riabbracciarlo di nuovo».
«Rosario è diventato un simbolo di giustizia sia civile che religiosa, solo in questa maniera riesco ad accettare quello che è successo e perdonare», ha concluso Salvatore.
Poi la riflessione di monsignor Mosconi, in cui ha ricordato a tutti che «Chi lotta contro la corruzione è martire, perché la corruzione è incompatibile con la Fede. Chi odia la giustizia odia la Fede. Chi opera sotto giustizia opera sotto lo sguardo di Dio».