/ Storie

Storie | 12 ottobre 2023, 13:44

Da San Fermo a Madrid, la varesina dall'ugola d'oro che incanta le platee: «Pavarotti? Un maestro di umanità»

Francesca Lombardi Mazzulli racconta la sua passione diventata arte: «Ho studiato con Luciano, un uomo di generosità spropositata: non ho mai pagato una lezione, si innamorava delle voci dei giovani. La mia Varese? Le ho dato tanto, ma non mi ha restituito molto...»

Da San Fermo a Madrid, la varesina dall'ugola d'oro che incanta le platee: «Pavarotti? Un maestro di umanità»

Francesca Lombardi Mazzulli ha appena terminato una prova al Teatro Real di Madrid, è tornata in albergo e grazie a Whatsapp incominciamo un’intervista serotina, perché una grande cantante ha un’agenda fittissima e ogni buco è buono per cercare di rilassarsi e magari raccontare un po’ di sé. A Madrid starà fino a metà novembre, a interpretare il ruolo di Angelica nell’“Orlando” di Georg Friedrich Händel, sotto la direzione di Ivor Bolton, specialista inglese della musica barocca.

Francesca, 40 anni compiuti l’8 maggio - «sono proprio varesina doc, nata il giorno di San Vittore» - è cresciuta a San Fermo, e ha mosso i primi passi nell’arte nella nostra città, a cui è legatissima e dove ritorna appena può. Ha una casa alla Rasa, lì ama riposarsi dedicandosi al suo passatempo preferito, la pittura.

Lo scorso anno, tra le altre cose, ha cantato al Maggio Musicale Fiorentino, debuttando in “Acis et Galatée” di Lully, diretta da Federico Maria Sardelli, con la regia di Benjamin Lazar, quindi in Giappone per “Silla” di Händel, rappresentato a Kyoto con “Europa Galante” di Fabio Biondi e un cast stellare composto da Vivica Genaux, Sonia Prina e Roberta Invernizzi, e infine a Bogotà, con lo “Stabat Mater” di Pergolesi e poi in Cambogia, con uno straordinario “Flauto Magico” mozartiano ambientato nei templi di Angkor, diretto dall’australiano Aaron Carpene per la regia di Stefano Vizioli.

Una globetrotter della musica, che dopo il debutto alla Fenice di Venezia con “Le baruffe” del compositore contemporaneo Giorgio Battistelli, diretta da Enrico Calesso con la regia di Damiano Michieletto, è volata in Germania per registrare “Alcina” di Gazzaniga, con l’orchestra Arte del Mondo diretta da Werner Ehrardt. Il disco è appena stato pubblicato per la Sony. Nel 2024 usciranno, per la prestigiosa etichetta Naxos, due cd, il primo con il “Lotario” di Händel, in cui Francesca interpreta il ruolo di Adelaide, e il secondo con “La Resurrezione” dello stesso compositore, entrambi con la Staatskapelle Halle diretta da Attilio Cremonesi.

Partiamo con il “botta e risposta”, con qualche licenza, naturalmente.

Qual è stato il primo brano che ricordi di aver cantato?
Un breve canto di chiesa in Santa Maria a San Fermo, nel coro di voci bianche diretto da Cristina Mazzucchelli. Poi “Quel mazzolin di fiori”, con mio papà Attilio, che faceva parte del Coro “Sette Laghi” diretto da Lino Conti. Avevo forse 5 anni.

Il primo pezzo che hai cantato con convinzione.
“Il will always love you” di Whitney Houston, all’età di 14 anni.

Quando hai deciso che avresti fatto la cantante?
A 15 anni, grazie al mio maestro Francesco Miotti, dopo un’audizione con lui. Capì le mie potenzialità e mi spinse a studiare. Cantavo nel suo coro, il “Josquin Desprez”, come solista. Poi mi iscrissi al Liceo Musicale, studiando con Maria Grazia Liguori e Massimiliano Broglia, poi, con la voce un po’ più matura, mi perfezionai con Alessandra Molinari, prima di entrare in Conservatorio a Milano. Studiavo anche pianoforte, ho fatto l’esame del quinto anno, mi sono fermata all’ottavo.

I tuoi studi.
Diploma al Liceo Classico “Cairoli” e al Liceo Musicale di Varese, laurea in Canto lirico al Conservatorio di Milano e laurea in Musica vocale da camera a Ferrara con Mirella Freni, ma ho studiato anche con Luciano Pavarotti.

Raccontaci di lui.
Un uomo di generosità spropositata, musicale e umana, non ho mai pagato una lezione, si innamorava delle voci dei giovani.

Se non avessi fatto il soprano che lavoro avresti scelto?
Uno meno faticoso, per esempio la logopedista, qualcosa comunque che avesse a che fare con la voce. Da bambina sognavo di fare la pittrice, e tuttora disegno a china e ad acquerello.

Quanto hanno contato i tuoi genitori, Adelaide e Attilio, nelle tue scelte artistiche?
Moltissimo. Entrambi amavano cantare e spinsero molto perché io continuassi gli studi, e così fece anche mio fratello Marco. Da noi la musica è sempre stata di casa.

L’opera che ami di più.
”Le nozze di Figaro”, mi piace la complicità che c’è tra Mozart e il suo librettista Lorenzo Da Ponte. Poi, nel Barocco, direi l’“Alcina” di Händel.

Quella che non avresti voluto cantare.
Non ce ne sono. Se un’opera mi è difficile, moltiplico gli sforzi per entrare nel personaggio. Oggi, con la maturità, canterei alcuni ruoli in modo molto diverso dal passato.

Tu sei tra le migliori interpreti internazionali del repertorio barocco: chi sono stati i tuoi maestri in questo genere?
Su tutti dico Vivica Genaux, con la quale studio tuttora. Una donna splendida e una grandissima artista. Poi devo molto a Sonia Prina, a Ottavio Dantone che mi ha insegnato il repertorio e al portoghese Fernando Cordeiro Opa. Tra i direttori, oltre a Dantone, ci sono Attilio Cremonesi, Fabio Biondi, Ivon Bolton e Federico Maria Sardelli.

Il paese in cui ami di più cantare?
La Germania, dove sono molto conosciuta e apprezzata. Poi l’Austria. Cantare in Italia è sempre un sogno che si realizza, ma purtroppo ho poche occasioni per farlo.

Il tuo successo più grande.
Forse il ruolo di Gilade nel “Farnace” di Antonio Vivaldi, scritto in origine per la voce di castrato, ma anche il “Lucio Silla” di Händel.

Il compositore che ami di più eseguire.
Senz’altro Händel, i suoi ruoli sono perfetti per la mia voce, simile a quelle delle cantanti per cui lui scrisse le arie. Poi Vivaldi, che ha una scrittura più comoda, è un musicista che oggi potremmo chiamare “pop”.

Ti pesa questa vita raminga?
Pesa la solitudine, pesano i continui spostamenti. Poi la fatica di creare una famiglia, la scelta di non avere figli. Ricordo che Lino Conti, il direttore del Coro “Sette Laghi”, disse a mio padre: “Francesca può fare la solista, ma ricordi che sarà sempre sola e avrà una vita frammentata”.

Il tuo rapporto con Varese.
Sempre molto complicato. Ho dato tanto alla mia città, spesso donando la mia arte soltanto per amicizia, ma non ho ricevuto molto. Varese fatica molto a creare situazioni lavorative concrete per gli artisti locali. Ognuno di noi dovrebbe avere spazio in città, ma purtroppo solo pochi lo hanno, chissà perché.

Se dovessi riassumere la tua vita in una parola, quale sceglieresti?
Complicata. 

Mario Chiodetti

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A OTTOBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore